lunedì 17 gennaio 2011

La malattia del genitore

Il mio ex capo, uomo di 50 anni, non sposato e senza figli, un giorno, parlando di alcuni colleghi sposati si lamentò con me dicendo: “Non si può più parlare con loro…parlano soltanto di figli!”.

Allora trovai l’osservazione piuttosto sgradevole: oggi devo riconoscere che ha un fondo di verità. La nascita di un figlio rivoluziona completamente la vita: i momenti da dedicare a se stessi scompaiono da un giorno all’altro riducendosi a scampoli rubati durante il sonno del bambino. Pappe, dimensioni e forme delle evacuazioni del piccolo, malattie, coliche, pediatri, peso, circonferenza cranica, percentili, ovetti e navicelle, tate, asili, logopedisti, scuole, diventano i temi principali di discussione con il coniuge e gli altri adulti. E quando la prole aumenta ci si pone il quesito se mai si potrà amare qualcuno come il primogenito, quello con il quale si è affrontata per la prima volta questa incredibile avventura.

La risposta è no… ogni figlio è un’ esperienza a sé, non solo perché ogni figlio è diverso dall’altro, ma perché anche i genitori, con il tempo, cambiano. Il sentimento che si prova è, però, altrettanto forte e totalizzante…una sorta di malattia buona dalla quale, come aveva notato a suo modo il mio ex capo, non si guarisce…

2 commenti:

Lisa ha detto...

Ma in fondo chi l'ha scritto che questa rivoluzione portata dalla nascita di un figlio non sia positiva anche dal punto di vista lavorativo? Io trovo che il fatto stesso di spostare il baricentro del proprio mondo da se stessi ad una creaturina che dipende in tutto e per tutto da noi, apra di molto gli orizzonti, ci renda più elastici, organizzati e anche più forti. Il mondo del lavoro non lo capisce, perché continua a trascurare il fatto che il lavoratore è soprattutto una persona.

Beth (Elisabetta Comini) ha detto...

Condivido in toto e aggiungo: il mondo del lavoro non lo capisce perché utilizza il modello: + tempo = + lavoro (che è come dire che se passi 20 ore della tua giornata al computer allora significa che hai lavorato molto...e questo anche se, in realtà, tu hai passato tutto il tempo a giocare al solitario!). Bisognerebbe piuttosto valutare attentamente un altro concetto, ossia la produttività (ma questo è molto più complesso e richiederebbe un'elasticità mentale che a molti datori di lavoro manca!)