giovedì 29 aprile 2010

Roma A/R

Sono scene di “Love actually” e di “The Terminal” quelle che mi scorrono nella mente ogni volta che mi trovo all’aeroporto.
In “Love actually” sono le sequenze nelle quali genitori e figli, mariti e mogli o semplici amici si riabbracciano all’uscita dei gate. In “The terminal” sono le sequenze nelle quali il protagonista si trova a diventare, suo malgrado, uno dei personaggi che popolano quel microcosmo che è l’aeroporto.

Il personale di assistenza a terra, le commesse dei negozi, gli addetti alla sorveglianza e gli addetti alle pulizie, i conducenti dei pulman che trasportano i viaggiatori all’aereo o i bagagli da imbarcare e poi ovviamente i piloti e gli assistenti di volo con le loro divise e i loro bagagli a mano che a piccoli gruppi percorrono i lunghi corridoi con il passo sicuro di chi conosce tutti i segreti di questo microcosmo.

E poi ovviamente la popolazione variegata dei viaggiatori: i viaggiatori di piacere con carrelli carichi di un numero eccessivo di valigie e di sacchetti del duty free, uomini d’affari con PC portatile al seguito che gesticolano animatamente mentre parlano con il loro Blackberry e i bimbi che viaggiano soli, con i loro badge di riconoscimento al collo, scortati dalla hostess di turno.

Ogni destinazione ha i suoi viaggiatori: sul volo per Milano l’età media dei colletti bianchi è di 45 anni. Su quello per Torino è invece di circa 65 anni...segno, anche questo, di una regione la cui economia da troppi anni ha perso dinamismo.

Alla fine questo è tutto ciò che vedo di Roma. Questo microcosmo e il vento che muove le fronde dei pini marittimi in lontananza.

venerdì 23 aprile 2010

C'è un pinguino nella buca delle lettere

Le tengo sempre con cura tra gli auguri di buon anno. Ogni anno, puntuali, arrivano: e il pinguino c’è sempre, sul timbro postale oppure sull’immagine della cartolina.

Arrivano dall’Antartide, dove équipe miste, formate da sismologi, glaciologi (sì esistono!) e astronomi, trascorrono parte del loro tempo a scavare buche nella neve (vd. foto) per collocare le apparecchiature necessarie a migliorare la nostra conoscenza della crosta, del mantello e del nucleo della terra (sismometri, apparecchi per la registrazione dei dati rilevati, batterie al piombo per l’alimentazione che si ricaricano tramite pannelli solari).

Temperature esterne intorno ai -30°, atterraggi sulla neve (le stazioni autonome dislocate sul terreno possono distare anche 600 km dalle basi attrezzate, vd. foto) su piste improvvisate e "movimentate" dalle gobbe create dai venti, lunghe permanenze nelle basi, circondate da immense distese di neve.

Ma qualcuno deve farlo: per avere delle immagini dell’interno della terra che siano di elevata qualità è necessario che le stazioni sismologiche siano distribuite in modo omogeneo sul territorio, anche in luoghi impervi come l’Antartide.

Visti i progressi della scienza mi chiedo se prima o poi riceverò gli auguri di buon anno direttamente dal centro della terra, da qualche temerario fan delle avventure di Jules Verne. “Ali” (nome in codice dell’amica che scava la buche e che mi invia le cartoline con i pinguini e le foto che vedete) non ci hai ancora fatto un pensierino
?

mercoledì 21 aprile 2010

L'illusione delle nuove tecnologie

Ci risiamo. Ogni anno, nel momento in cui arriva la conferma che il numero dei visitatori paganti nei musei statali italiani continua a diminuire, compaiono dichiarazioni sul ruolo che l’utilizzo delle nuove tecnologie potrebbe avere per “conquistare i visitatori” (IlSole24 ore del 19/04: “Musei sull’iPhone per conquistare i visitatori. Contro la diminuzione delle presenze spazio a Facebook, Twitter, allestimenti in 3D e tavoli multimediali).

A dire il vero, anche tra taluni addetti ai lavori qualche dubbio c’è sull’efficacia di tali soluzioni. Già, perché, come spesso succede nel nostro paese, ci si illude che l’utilizzo delle nuove tecnologie (visite virtuali, ora Facebook, Twitter) possa, da solo, determinare cambiamenti. Eppure, il fatto che progetti sulle nuove tecnologie già attuati e finanziati in passato abbiano dato risultati non poprio brillanti spingerebbe ad una riflessione un po’ più approfondita sul perché i nostri musei perdano, da qualche anno, visitatori paganti (e, di conseguenza, sulle strategie da adottare).

Un esempio a caso: cercando il sito Internet del Colosseo (attività che ogni turista italiano e straniero avrà intrapreso) si ritrovano siti amatoriali, a volte anche discreti, realizzati da appassionati. E lo Stato? (il Colosseo ed il Circuito Palatino sono circuiti museali statali...). Tra i primi risultati che compaiono dalla ricerca su Google troviamo questo sito della Soprintendenza
http://archeoroma.beniculturali.it/it/luoghi/aree_monumenti/colosseo2 che tutto è, tranne che un sito pensato per il visitatore. Andate su una pagina qualsiasi…probabilmente non arriverete a leggere oltre la mezza pagina, perché il testo risulta davvero poco "intrigante".

Il sito cita i servizi educativi istituiti dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali presso la Soprintendenza per favorire "la conoscenza delle testimonianze storiche e del patrimonio artistico nazionale, soprattutto nei più giovani”. Ottimo! Ci addentriamo oltre, cercando una descrizione dei corsi e laboratori istituiti…”Corsi e laboratori 2008-2009 (ma non siamo nel 2010?)…”Il programma dei corsi e dei laboratori che verranno realizzati per l'anno 2008-2009 sarà pubblicato non appena saranno definite le risorse destinate a questo servizio” (!!!).

Cambiamo paese…http://www.britishmuseum.org/. Sul sito, curato ed accattivante, ricco di immagini e supporti audiovisivi si trovano percorsi per tutte le tipologie di visitatori (adulti, studiosi, scuole, bambini), nonché una serie di risorse online (informazioni, ecc.) per insegnanti ed adulti in visita la museo. I bambini trovano percorsi di visita predisposti per loro, possono ritirare nel museo dei pacchetti all'interno dei quali troveranno diverse attività da svolgere durante la visita, potranno prendere in prestito penne e matite per disegnare durante la visita, toccare con mano alcuni oggetti del msueo e cimentarsi in una serie di attività predisposte per loro (ed in funzione delle diverse età dei piccoli visitatori) nel Samsung Digital Discovery Centre all’interno del museo (es: potranno creare mosaici con il supporto di Photoshop, stamparli e portarli a casa)…All’interno del sito online i bambini possono seguire percorsi in funzione del periodo storico o del tema selezionato, divertirsi con giochi online e scoprire al contempo le collezioni del museo.

Insomma le nuove tecnologie non fini a se stesse, ma come parte di una strategia più complessiva, di un modo diverso di concepire l’approccio alla cultura. Cosa che richiede molto più tempo della realizzazione di un sito in 3D o di una applicazione per iPhone…

giovedì 15 aprile 2010

Il "JFK Employee"

C’è Mary che, dopo un lungo volo, sosterà qualche ora all’aeroporto JFK di New York e chiede dove potrà portare il cane che viaggia con lei a fare una passeggiata.
C’è John che chiede come raggiungere il suo albergo dall’aeroporto spendendo il meno possibile. E chi chiede dove poter fare una doccia all’interno dell’aeroporto o come avere assistenza per un parente in arrivo all’aeroporto che non parla inglese e che quindi potrebbe avere problemi a rispondere alle domande degli agenti della dogana. E ancora chi vorrebbe portare da Cuba del rum e dei sigari cubani e chiede se questo è consentito dalla legislazione vigente.

A queste ed altre domande l’addetto dell'aeroporto JFK di New York (o “JFK Employee”, come si firma sul sito) risponde in tempo reale su una pagina del sito web dell’aeroporto http://www.jfk-airport.net/
In realtà il sito è strutturato in diverse sezioni nelle quali i viaggiatori troverebbero risposte ad alcune delle domande inviate. Ma se è vero che i problemi dei viaggiatori sono spesso comuni, avere risposte puntuali ai propri dubbi è spesso determinante (se arrivo con il volo xxx e ho la corrispondenza con il volo xxxx gestito da quest’altra compagnia che parte dal terminal.xxx all’ora xxx, ce la farò a prendere l’aereo? Avrò tempo sufficiente per superare i controlli?). E in questo senso la presenza del “JFK Employee” è davvero rassicurante.

Uno degli aspetti che penso colpisca di più noi europei in visita negli USA è proprio questo: l’approccio che caratterizza il “servizio al pubblico”. Nell’aeroporto, ad esempio, tutto è ben segnalato. Lungo le strade, ad ogni incrocio, c’è un cartello ben visibile che riporta il nome delle vie e la direzione da seguire per raggiungere la propria meta.

Il che mi ricorda un viaggio in macchina da Torino a Milano Malpensa di qualche annetto fa. Seguendo le scarse indicazioni (molte erano nascoste dalla vegetazione e quelle visibili erano sistemate in modo ambiguo: “Secondo te indica di andare diritto oppure di girare a sinistra?”) arrivammo in piena campagna. Dopo una serie di stradine deserte, ci trovammo di fronte ad un piccolo ponticello, sul quale una macchina di grandi dimensioni o un camper non sarebbero mai potuti transitare. Eppure la strada era proprio quella e portava (ma solo se si viaggiava su macchine di piccole dimensioni!) proprio a Milano Malpensa, uno dei principali aeroporti italiani. Caro “Malpensa Employee”…where are you?

venerdì 9 aprile 2010

Il signor M.

Il portone è ancora chiuso quando arriviamo. Ad attendere, altre 10 persone, giunte lì, come noi, con il passaparola.

Poi, alle 20.30 precise, il portone si apre e veniamo accolte all’interno: tavoli di legno accuratamente preparati ed impreziositi da fermaposate di cartone e sottopiatti di ceramica colorata. Un ambiente luminoso, intimo ed accogliente: graziose lampade e oggetti di design a decorare i tavolini di servizio, tavolozze di colori alle pareti.

M. ci avverte subito: “Lo sapete, questo non è un ristorante…qui non ci sono veri cuochi e camerieri…se la cosa non vi convince, poco più in là trovate un vero ristorante”. Una franchezza che all’inizio ci lascia un po’ sorprese, ma che, come capiremo in seguito, serve solo per mettere in chiaro che lì le cose si fanno come vuole M…e che, se ti fermi, “decidi di accettare e giocare”.

E così abbiamo fatto. Una portata dopo l’altra, per un totale di 6 antipasti, 1 primo, 1 contorno, 5 dessert, accompagnati da 3 diversi tipi di vino. Pietanze che non si trovano nei ristoranti: perché M. cucina le antiche ricette, quelle della tradizione contadina, impreziosite, però, da alcuni suoi spunti personali: ed inoltre, il pane lo fa lui, il formaggio lo fa lui, la salsiccia è preparata da lui, ed i contorni, le salsine, sono sempre piacevolmente insolite.

A servire sempre M., con i suoi modi gentili e discreti, la sua cravatta elegante ed il grembiule da lavoro. L’ambiente concilia la discussione e durante la carrellata di piatti si parla di tutto: uomini e donne, tortellini e personalità borderline.

Usciamo, qualche ora dopo, dal portone dal quale eravamo entrate… con alcune ricette raccolte in una confezione di cartoncino (le stesse ricette che abbiamo sperimentato e che ci sono state donate da M.) ed una piacevole sensazione.

Sarà il fatto che il ricavato della nostra cena sarà utilizzato da M. per coprire una parte dei costi che lui sostiene per offrire gratuitamente il pernottamento alle persone che si trovano in città per assistere i propri bimbi malati e che non hanno i mezzi per affittare per giorni, spesso mesi, una camera d’albergo.

O sarà il fatto di aver conosciuto una persona che, semplicemente, ha sperimentato un percorso…”Ospitalità, gioco” sono le prime parole che lui cita…ma ci sono anche l’esperienza della malattia e la convinzione che “Quando si è fortunati, quando si è avuto tutto dalla vita è giusto, doveroso, dare qualcosa anche agli altri”.

giovedì 1 aprile 2010

Italiani popolo di poeti, naviganti e... cantanti

E’ vero Sanremo c’è sempre stato, come pure Castrocaro, lo Zecchino d’Oro, ecc. Ma ora sta diventando una malattia collettiva. Ovunque ci si giri, nella vita reale o nella vita para-normale della televisione, siamo letteralmente circondati da gente che canta. Cantano tutti...

C’è la mamma che canta per necessità (se Winnie Pooh si mette a cantare la ninna nanna al piccolo amico Elfie, la mamma dovrà fare altrettanto, no?). Ma è una cosa che avviene all’interno delle mura domestiche, nell’intimità familiare e quindi è tollerabile…

C’è il dilettante finto improvvisato che, in qualsiasi occasione utile (festa patronale, serata di gala, matrimonio, cresima, ecc.), fingendo un po’ di ritrosia e timidezza, “costretto” dagli amici che lo invocano a gran voce (probabilmente amici che lui paga per “costringerlo” ad esibirsi), si impossessa del microfono e non lo molla più…e che inesorabilmente parte con una canzoncina quasi innocente per poi arrivare alle arie più impegnate ed impegnative…perché in fondo la lirica è alla portata di tutti.

E poi ci sono i vari programmi televisivi che ormai imperversano in ogni dove: non solo più ragazzi ed adulti, ma, ora, anche bambini…(che non perdono più tempo con i “Quarantaquattro gatti” ma, ancora una volta, con brani ed arie impegnative)…per un susseguirsi di accuse tra le emittenti per chi ha rubato il “format” all’altro.

Ora che ci penso, una volta si cantava anche durante le gite scolastiche: ho un vago ricordo di una gita scolastica alle elementari (in pullman, ovviamente…perché una volta il treno non si utilizzava, forse per rispetto nei confronti dei comuni viaggiatori…). Si cantava “Bella ciao”, non per convizione politica o altro, ma semplicemente perché per noi bimbi cresciuti in una terra con una forte tradizione di lotta partigiana, nella quale regolarmente si commemoravano pubblicamente i caduti della resistenza, semplicemente la si sentiva molto spesso…Poi sono arrivati i walkman e gli iPod e l’ascolto è diventato più individuale…tutti zitti ad ascoltare con le cuffiette solidamente incastrate nelle orecchie.

Che fare dunque di fronte a questa malattia contagiosa? A questo virus che si sta diffondendo con una velocità pari a quella della peste bubbonica? Mi viene in mente una canzoncina…”Canto anch’io? NO, TU NO!”