martedì 23 febbraio 2010

In una fredda domenica invernale...

In una fredda domenica invernale, la famiglia intera, pargoli al seguito, si sposta in periferia, là dove garriscono al vento, una accanto all’altra, la bandiera italiana e la bandiera giallo-blu svedese.

Molte le macchine parcheggiate, ma nonostante tutto, all’interno del magazzino, la gente si snoda ordinatamente lungo i percorsi. Non c’è fretta, non c’è impazienza, anche perché i pargoli, almeno quelli di altezza superiore ai 90 cm (ma inferiore ai 140 cm), sono stati parcheggiati nello "spazio divertimenti" al piano terreno vicino all’entrata, elemento, questo, che induce i genitori ad indugiare nei propri acquisti, più di quanto avessero preventivato.

Tutto è accuratamente studiato, come nelle scenografie dei teatri: il barattolo della pasta è in una cucina che sembra vera, il quadro è appeso in un salotto che sembra uscito dalla pubblicità di una rivista, la stanza dei bambini è colorata ed accogliente, con scalette protette per evitare le cadute accidentali dei piccoli visitatori (quelli di statura inferiore ai 90 cm o superiore ai 140 cm, che non hanno trovato posto nello spazio "divertimenti"...).

Incredibilmente, nessun ingorgo lungo il percorso, tutti riescono ad osservare con calma la merce, accuratamente esposta. E così finisce che a piccoli pezzi (3€, 2,50€, 5€) si entra per comprare Billy e si esce con un inventario di prodotti dai nomi impronunciabili. La luce, il legno, la sensazione che è tutto a portata di mano e di portafoglio e che tutto, nonostante le linee essenziali, ha il suo stile e carattere.

Tutto è abbinabile: le sedie (siano esse in colore faggio, marrone, o altro) non sono mai orfane del tavolino e i vasi e le cornici sono disponibili in tutte le dimensioni, come pure i bicchieri (forse per evitare che qualche americano di passaggio si comporti come i primi visitatori dei negozi Ikea negli Stati Uniti che acquistavano vasi per fiori al posto dei normali bicchieri, giudicati troppo piccoli per poter soddisfare la loro sete (e d'altronde, 10 cubetti di ghiaccio, in un normale bicchiere di vetro, proprio non ci stanno...!).

Al momento del pranzo, altrettanto ordinatamente (nessuno spinge, nessuno urla, tutti contagiati dallo Swedish-style?) tutti trovano il proprio cantuccio, compresi i piccoli clienti seduti sui seggioloni rigorosamente made by Ikea, tanto semplici ed essenziali quanto incredibilmente puliti (considerando gli utilizzatori). I piccoli clienti hanno anche il proprio menù, a base di pasta al pomodoro, yoghourt alla banana e succo di albicocca: totale 1 euro circa per chi ha la carta fedeltà (al punto che quasi quasi, non fosse per la distanza, converrebbe portare i bimbi a mangiare ogni giorno qui).

E dopo il pranzo, un cambio confortevole del pannolino sui comodi e puliti fasciatoi (altro che gli equilibrismi da Cirque du Soleil all’interno dei bagni dei ristoranti, con il piccolo pargolo che ad una mossa sbagliata rischia di finire nel lavabo!).

Nell’enorme magazzino, dove sono stipati pacchetti rettangolari (rigorosamente piatti…), i pargoli corrono felici, i genitori un po’ meno, pensando a come stipare Billy dentro la propria utilitaria. Ma d’altronde, come ricorda l’insegna, per avere prezzi convenienti qualche sacrificio va fatto!

A sollevare ulteriormente il nostro morale vi è il pensiero che l’azienda da anni ha adottato un codice di condotta al quale i fornitori di IKEA si devono adeguare (IKEA Way on Purchasing Home Furnishing Products, IWAY), che richiede il rispetto di alcuni criteri in materia ambientale (ad es: relativi allo smaltimento dei rifiuti e al trattamento delle sostanze pericolose) e in materia di condizioni di lavoro (divieto del lavoro minorile, norme riguardanti la sicurezza sul lavoro, ecc. in ottemperanza a quanto anche previsto da diverse convenzioni ONU) e questo mantenendo comunque prezzi contenuti.

I criteri, costantemente aggiornati, prevedono un approccio strutturato in 4 tappe: dal primo livello che elenca i requisiti che il fornitore deve soddisfare prima della prima consegna della merce ad IKEA, al secondo, che contiene i requisiti minimi necessari per mantenere il rapporto di lavoro con IKEA, fino al quarto che prevede una certificazione di qualità.

Come dicono alcuni, forse, non è tutto bello come sembra*. Ma l’illusione è forte…

*Olivier Bailly, Jean-Marc Caudron e Denis Lambert,
Le Monde Diplomatic, December 29th, 2006 “Sweden: Low Prices, High Social Costs: The Secrets in Ikea's Closet, http://www.corpwatch.org/article.php?id=14272

martedì 16 febbraio 2010

La fedeltà premia...chi?

Il catalogo dei premi è sulla scrivania da qualche giorno: bisogna affrettarsi perché i punti scadono. Sì quei punti che ogni settimana, con la nostra spesa al supermercato, accumuliamo con pazienza certosina, pensando al regalo che puntualmente, ogni febbraio, andremo a ritirare al supermercato…il meritato coronamento di tante fatiche….

Già, ma quanto valgono le nostre fatiche? Ipotizzando una spesa di 60€ alla settimana arriviamo ad una spesa annuale di circa 2900€, per un totale punti di circa 2.400 punti (1 punto ogni euro di spesa MA con una soglia minima di 5€……cosicché la mia anziana vicina che ogni giorno si reca al supermercato facendo mini spese di pochi euro non accumula neanche un punticino…una vera ingiustizia!)

Ma torniamo ai nostri sudati 2.400 punti (che, ricordiamolo, ci sono costati, in termini di spesa al supermercato, quasi 2.900€ pari a circa 5,6 milioni di vecchie lire) e consultiamo il catalogo dei premi per scoprire quali munifici doni ci attendono…una macchina da caffè elettrica, sì perché no…ma dovremo aspettare altri 14 anni per averla (per una spesa complessiva al supermercato pari a 88 milioni di vecchie lire circa)…oppure un robot da cucina …altri 11 anni…(per una spesa complessiva equivalente di circa 70 milioni di vecchie lire).

In compenso, accumulando ancora qualche punticino, potremmo ottenere un bel mappamondo da tavolo (“non illuminato” però, come chiarisce la didascalia…), oppure un carino ferma olive in legno che a noi sarà costato circa 3.000€, ma il cui valore commerciale verificato su Internet, sul sito dell’azienda produttrice, è pari a circa 27€. Detto altrimenti, un anno di spesa che a noi costa 2.900€, ai fini della raccolta punti viene valutato circa 27€.

E’ vero, a caval donato non si guarda in bocca..ed in fondo noi andiamo al supermercato in questione non per il programma di raccolta punti proposto, ma per il fatto che è vicino, ha orari sufficientemente lunghi e i prezzi sono nella norma.
Va detto, però, che questo piccolo esercizio ha diminuito un po’ quell’iniziale ingenuo entusiasmo che provavamo nello sfogliare il nostro catalogo premi. Come dice qualcuno, “La fedeltà ti premia”, “La fedeltà dà i suoi frutti”… o almeno è vero certamente per il nostro supermercato e per i suoi conti!...

mercoledì 10 febbraio 2010

Donna, italiana... e della provincia di Napoli

  • Nell’Unione europea (27 paesi), in media, il 59,1% delle donne ha un lavoro*.
  • 16 sono i paesi dell’UE che si collocano al di SOPRA di questa media: in cima alla classifica la Danimarca, il paese con il tasso di occupazione femminile più alto (pari al 74,3%), seguita da Svezia, Paesi Bassi e Finlandia. A seguire altri 12 paesi
  • 11 sono i paesi dell’UE che si collocano SOTTO la media europea del 59,1%: il peggiore, in termini di occupazione femminile, è Malta (tasso di occupazione femminile pari al 37,4%), seguito dall’Italia (47,2%). Meglio dell’Italia, ma comunque sempre al di sotto della media europea fanno tutti gli altri paesi: Repubblica Ceca, Belgio, Lussemburgo, Slovacchia, Spagna, Polonia, Romania, Ungheria, Grecia.
  • Anche per quanto riguarda l’occupazione maschile, l’Italia è al di sotto della media dei 27 paesi dell’Unione europea (70,3% contro la media del 72,8%), ma mentre in questo caso lo scostamento tra Italia e media europea è di circa 2,5 punti percentuali, nel caso dell’occupazione femminile il divario è di quasi 12 punti percentuali (47,2% Italia contro 59,1% della media europea). Non solo, ma in Italia, il divario tra il tasso di occupazione degli uomini e quello delle donne è tra i più elevati dell’UE (23 punti percentuali, contro una media europea di 13,7 punti percentuali).
  • Tra le regioni italiane, il tasso di occupazione femminile più elevato si trova in Emilia-Romagna (qui il 62,1% delle donne ha un’occupazione): al fondo della classifica la Campania (tasso di occupazione femminile pari al 27,3%).
  • Secondo uno studio recente della Camera di Commercio di Napoli e dell´Eurosportello, nella provincia di Napoli in particolare, l´occupazione femminile si attesterebbe addirittura al 24,3% per cento.
*Tutti i dati citati sono di fonte Istat e possono essere consultati qui: http://noi-italia.istat.it/index.php?id=4. Il tasso di occupazione femminile citato è il rapporto percentuale tra le donne occupate di 15-64 anni e la popolazione femminile della stessa classe di età.

lunedì 8 febbraio 2010

L.

Lo chiamavo l’”Innominato” non perché somigliasse al personaggio manzoniano, ma semplicemente perché i suoi genitori non riuscivano a mettersi d’accordo sul nome.

Alla fine ce l’hanno fatta e ora L. guarda sonnacchioso dalla sua piccola culla dell’ospedale il mondo confuso ed annebbiato che lo circonda. Notti in bianco, cibi lasciati a bruciare nella pentola perché il bagnetto con le paperette si è protratto un po’ troppo a lungo, mesi ad attendere con impazienza i primi passi e le prime parole (pa-pa…"Ha detto papà!!!", esclama orgoglioso il papà…"Guarda che stava indicando la palla", gli risponde la mamma con un sorrisetto…) e poi, quando finalmente il vocabolario si è arricchito, altrettanti mesi ad insegnargli a stare in silenzio quando parlano i grandi…(che ironia!).

E poi ancora i piccoli litigi quotidiani con la sorellina, le piccole cadute al parco e tutti i piccoli gesti che diventano talmente quotidiani al punto che i genitori si chiedono “Ma come era la nostra vita…prima?”
L. e il miracolo della vita: perché da qualunque parte la si guardi, credenti, atei o agnostici, questo è proprio un miracolo.

mercoledì 3 febbraio 2010

Public speaking? Esercitiamoci con i bambini!

Ieri al museo civico di Torino non erano le porcellane dell’Ermitage, oggetto della mostra temporanea, ad attirare l’attenzione dei visitatori.

Gli sguardi erano tutti rivolti verso un gruppetto di bambini di circa 7 anni, seduti per terra in cerchio attorno ad una teca di vetro. Accanto alla teca, una giovane guida del museo, che leggeva con fervore alcuni passi di quello che sembrava essere, dal tono della lettrice, un libro di avventura.
Forse un racconto ambientato nel Medioevo, visto che la maggior parte dei reperti nella sala risaliva a quel periodo.
In silenzio, lo sguardo rapito dal racconto della loro lettrice, i bambini sembravano non accorgersi neanche delle tante persone che con un misto di curiosità e di ammirazione li guardavano, sbirciando tra una teca e l’altra.

Poco lontano, un gruppo di tredicenni si trascinava stancamente da una sala all’altra del museo, scortato da alcune insegnanti ugualmente stanche. Le spiegazioni della guida del museo si perdevano negli sguardi assenti mentre il passaparola si faceva di sala in sala sempre più insistente:“Ma quando si va a mangiare?”

Come spiegare atteggiamenti così differenti?
Con l’avanzare dell’età perdiamo forse interesse nell’arte, nei musei?
O forse siamo semplicemente più indipendenti e dunque meno inclini a rispettare l’autorità/ascoltare ciò che ci viene proposto dall’”alto”?
O non sarà che quando ci si rivolge a quello che si ritiene essere un pubblico già adulto (i ragazzi delle medie nel nostro esempio, ma la cosa vale anche per un pubblico ancora più maturo) spesso si dimentica l’importanza di alcuni elementi che rendono efficace la comunicazione, in primis la capacità di coinvolgere/attirare l’attenzione dell’uditorio?

Qualche tempo fa è venuto in azienda un consulente inglese specializzato in corsi di formazione per il “public speaking”. Si tratta di corsi con i quali si intende fornire – a coloro i quali si trovano a parlare in pubblico a nome della propria azienda – quegli strumenti in grado di rendere più efficace la comunicazione.

Una cosa che sorprende di questi corsi è la semplicità dei consigli/strumenti forniti, che spesso hanno a che fare con la scelta delle parole, l’utilizzo di esempi per chiarire i concetti esposti, ma anche con la gestualità, il timbro ed il tono della voce.

Insomma, anche ai livelli più alti della comunicazione e nei confronti di un pubblico adulto, pare si tenda sempre di più a riconoscere l’importanza di quegli stessi elementi che rendono efficace la comunicazione nei confronti…dei bambini!

La prossima volta che vi capiterà di parlare in pubblico ad un convegno, fate dunque finta che al posto di adulti in giacca e cravatta seduti sulle poltroncine di fronte a voi vi siano bimbi in jeans e maglietta seduti in cerchio…forse vedrete meno sbadigli e sentirete meno bisbigli su “A che ora è il buffet?”.

lunedì 1 febbraio 2010

Una poltrona? Forse meglio due...!

E’ giusto/opportuno che un parlamentare possa diventare anche sindaco di una grande città oppure Presidente di una provincia?

A livello normativo la questione non è chiara, e le Giunte per le elezioni (quella della Camera e del Senato rispettivamente) decidono in base alla propria interpretazione della normativa vigente, con il risultato che se alcuni anni fa si riteneva che le due cariche fossero incompatibili, oggi, invece, si decide in modo contrario (vd. la decisione della Giunta per le elezioni della Camera che nel mese di gennaio 2010 ha deciso per la compatibilità nel caso di 12 deputati che, eletti alla Camera, successivamente sono stati eletti a ricoprire cariche anche a livello locale)*.

C’è chi assicura che questo non è un problema, che un parlamentare può benissimo essere in grado di garantire la presenza nelle riunioni a livello locale. Ma questo è sufficiente?
E’ sufficiente ad esempio per un sindaco (seppur supportato da validi collaboratori) presiedere ad alcune riunioni per svolgere appieno il proprio incarico (amministrare la propria città?). E’ sufficiente per capire quali sono i problemi quotidiani dei cittadini (dal lavoro, al rapporto con la pubblica amministrazione locale, dai trasporti alla sanità?) ed adottare le decisioni ritenute più opportune in funzione di tali problemi?

Ammettendo anche che il parlamentare possa comunque candidarsi alla posizione di sindaco o di Presidente della provincia mi sembra che il prevedere, in caso di vittoria, che il parlamentare diventato sindaco o Presidente della Provincia debba optare per una delle due cariche, lungi dal limitare i diritti della persona (come alcuni argomentano) sia una norma, oltre che di buon senso, eticamente più corretta nei confronti degli elettori (anche se, si potrebbe argomentare, qualunque sia la decisione presa, gli elettori che avevano votato a favore della persona - a livello nazionale o locale - si troveranno in ogni caso a vedere non rispettata la propria volontà…).

Da qualunque parte la si guardi, una norma che disciplini la questione sembra davvero improrogabile: eppure, il disegno di legge (del 23/06/2009, d’iniziativa dei senatori Follini, Augello, D’Alia e Sanna, intitolato “Disposizioni in materia di incompatibilità parlamentare”) è da tempo fermo al Senato. Crisi o non crisi, avere un lavoro è già una buona cosa…averne due (e di questo tipo)…forse è davvero troppo!


*Curiosamente la questione è diversa per i sindaci di città con più di 20.000 abitanti e i Presidenti di Provincia che si volessero candidare alla Camera: in questo caso è prevista l’ineleggibilità qualora la persona non dia le dimissioni entro un certo numero di mesi prima del voto.