mercoledì 23 dicembre 2009

Perché ognuno ha il proprio microcosmo

Chi vive in città lo sa bene…In fondo, per certi versi, la vita in città assomiglia a quella del piccolo paese. Ciascuno ha il proprio microcosmo, che regola e condiziona la vita quotidiana.
Il mio è affollato di alcuni personaggi:

C’è Massimo l’edicolante, che mi tiene ogni mese da parte la mia rivista preferita. Ogni volta che vado a ritirarla ho l’impressione che lui mi confonda con un’altra persona del quartiere che evidentemente acquista la medesima rivista. Ma alla fine poco importa…la rivista è sempre da parte

Poi c’è Myriam, che gestisce una piccola libreria all’angolo che ricorda quella del film “C’è posta per te”. Myriam non applica gli sconti delle grandi catene e non ha molti libri sugli scaffali. Ma questo per lei non è un problema: la sua clientela non cerca un libro. “Myriam, vorrei leggere un bel romanzo d’avventura…che cosa mi consigli”? Questa è la domanda alla quale Myriam deve avere sempre la risposta giusta. Il resto è secondario

Poi c’è Silvia: quando ci siamo trovate l’una accanto all’altra in un letto all’ospedale ci siamo guardate e ci siamo dette: “Ma noi ci conosciamo, vero?”. E come poteva essere diversamente? Silvia ogni settimana con grande perizia e velocità passa allo scanner tutti i prodotti della mia spesa nel GS della zona

Poi c’è Federica, che gestisce un piccolo negozio di oggetti di design. Alla domanda: “Mi scusi, ha presente quella ragazza, che ha tre bambini e il cane Tobia che viene spesso da lei?..Ecco, che cosa mi consiglia per lei per Natale?”…E Federica dispensa consigli che si rivelano sempre preziosi

Poi c’è Laura, che lavora al take-away sushi dal primo giorno di apertura. All’inizio faceva un po’ di confusione con le ordinazioni. Ora, appena sente la mia voce mi saluta e mi rivolge la fatidica domanda: “Il solito?”…

E infine c’è Mohamed, che dimenticate le sue origini marocchine, da vero Pautasso*, saluta le vecchiette alle quali ha appena venduto carote e patate al banchetto del mercato con un “Cerea Madamin”**…

Certo, nel mio quartiere vivono anche tante persone antipatiche e scortesi…ma di loro non mi curo, semplicemente le ignoro…perché loro non fanno parte del mio microcosmo
.

*Nota per i non "sabaudi": Pautasso è il Brambilla piemontese.
**Seconda nota per i non "sabaudi": arrivederci signora...

martedì 22 dicembre 2009

La memoria in un ciak

Ieri sera su RaiStoria si è parlato della strage compiuta a S.Anna di Stazzema, il 12 agosto 1944.
Come di consueto nei servizi di RaiStoria, il racconto dei fatti era corredato dalle testimonianze dei pochi, in questo caso pochissimi, sopravvissuti. Sentendole, mi sono tornate alla mente le voci dei sopravvissuti ai lager nazisti ascoltate a Mauthausen e Dachau.

Voci di persone che non ci sono più e che arrivano a noi grazie ad un nastro o un DVD che fermano nel tempo sensazioni/emozioni evitando che il passare degli anni le trasformi in “altre” realtà…come avviene quando raccontiamo un avvenimento…e ogni volta che lo raccontiamo aggiungiamo via via particolari arrivando alla fine a chiederci quale sia la versione “vera”.

Al termine del servizio di RaiStoria, lo storico presente in studio sottolineava come, venendo meno le testimonianze dei sopravvissuti, la nostra memoria storica si “costruirà” sempre di più in futuro sulle immagini, non solo su quelle dei documentari storici, ma anche, e soprattutto, su quelle dei film.

In un mondo sempre più dominato dall’immagine, toccherà dunque ai film costruire la memoria di questi eventi, aggiungendo al fatto storico, documentato dagli studiosi, la dimensione del sentimento, quel confine verso il quale lo storico non si spinge.
Una responsabilità enorme per chi dovrà resistere ad ogni ciak alla tentazione di raccontare altre storie, diverse da quelle vere….

mercoledì 16 dicembre 2009

Quelle parole non dette…

Oggi, verso le 16, una persona ha deciso di porre termine alla sua vita.
Non conosciamo il suo nome, né la sua età, né il motivo che lo ha spinto a questo gesto. Sappiamo soltanto che lo ha fatto gettandosi sui binari, presso Vittuone, a circa 15 km da Milano.

Lo sappiamo perché, giunti alla Stazione Centrale di Milano verso le 18, abbiamo trovato lungo la banchina decine di viaggiatori che si interrogavano sul perché l’Intercity, che sarebbe dovuto partire da oltre un'ora fosse fermo sul binario 5.. e sul perché tutti i treni della linea Torino-Milano avessero ritardi superiori ai 60 minuti.

E’ stato un gruppo di poliziotti – il cui intervento era stato evidentemente richiesto da qualcuno, forse per timore di disordini – a dare l’informazione. “C’è stato un investimento a Vittuone…è tutto bloccato in attesa dell’arrivo del magistrato” ci ha detto la poliziotta.

Arrivati a Torino con un’ora di ritardo, l’unico ricordo che ci porteremo dietro di questa giornata saranno i cori di protesta dei pendolari, gli insulti - sentiti durante tutta la durata del viaggio - nei confronti di Trenitalia, che pensa soltanto all'alta velocità e ignora i passeggeri che non possono permettersi di spendere 60€ per un biglietto di andata e ritorno Torino-Milano.

Eppure quanto è successo non era imputabile a Trenitalia…l'alta velocità non c’entrava proprio nulla…e allora perché tutto questo? Perché neanche un pensiero a quella persona e al suo tragico gesto?

No, non siamo diventati tutti insensibili…semplicemente siamo stati ancora una volta vittime di quell’atteggiamento superficiale e totalmente noncurante delle esigenze e dei diritti dei passeggeri, diventato ormai purtroppo un tratto distintivo di Trenitalia. Nessun ferroviere sulle banchine ad informare i passeggeri…nessun ferroviere/controllore durante il tragitto a fornire aggiornamenti sui ritardi del treno, nessun comunicato attraverso l’altoparlante collocato a bordo.

Parole, semplici parole non dette…che hanno fatto dimenticare a tutti la cosa più importante.

lunedì 14 dicembre 2009

Famiglia…ma quanto mi costi?

Questo uno degli interrogativi sollevati dal libro recentemente pubblicato dagli economisti Alesina e Ichino dal titolo “L’Italia fatta in casa” (ed. Mondadori).
Del libro ho potuto leggere solo un breve estratto ed un commento dell’economista Gavazzi sul Corriere della Sera, ma gli argomenti sviluppati mi sembrano interessanti.

In sintesi: tutti sappiamo quanto la famiglia sia importante nel contesto socio-economico italiano (pensiamo ai figli che rimangono a casa ben oltre i loro coetanei europei, pensiamo alle donne che rimangono a casa per seguire i figli o per occuparsi di familiari anziani, dei genitori che intervengono economicamente per sostenere i figli in difficoltà a seguito della perdita del lavoro, ecc.).

La tesi sostenuta dal libro è che l’affidare alla famiglia questi compiti (che in altri paesi vengono svolti dal welfare/dallo Stato) è una scelta che ha comportato e comporta tuttora costi elevati.

Qualche esempio di questi costi (la seguente è una mia sintesi, molto semplificata, giusto per condividere qualche riflessione con voi...):

Limitata mobilità geografica: spesso accade che i giovani si accontentino di un lavoro inferiore alle proprie qualifiche pur di rimanere vicini alla famiglia e alla “sicurezza” che questo comporta (questo fenomeno sembra confermato dai dati riportati nel libro, secondo i quali il 45% delle coppie sposate di età inferiore ai 65 anni vive nel raggio di 1 km dai genitori)

Inefficienza nell’allocazione delle risorse lavorative
: quando la ricerca del lavoro avviene vicino a casa, dunque in un contesto geografico limitato, è più elevato il rischio che il posto di lavoro venga trovato tramite raccomandazione (con il risultato che l’impresa che deve assume una persona non prenda magari la persona più capace ma semplicemente quella che è stata raccomandata, con un evidente impatto negativo sull’azienda stessa)

Limitata presenza delle donne nel mondo del lavoro: la maternità e la cura dei figli sono la causa principale di abbandono del lavoro da parte delle donne. La mancanza di istituti, come gli asili nido, oppure modalità di lavoro, vd. part-time e flessibilità degli orari, spesso non consentono alla donna altra soluzione che lasciare il posto di lavoro. Ricordiamo a questo proposito come la gran parte della spesa sociale del nostro paese vada in pensioni e non per le politiche sociali propriamente dette. Tra l’altro, la minore partecipazione femminile al mercato del lavoro in Italia, unita alla bassa fecondità del nostro paese, sono una delle cause che rende il rapporto tra anziani inattivi su occupati notevolmente peggiore nel nostro paese rispetto ad altri che pure hanno una longevità simile alla nostra.

Occupazione giovanile inferiore a quella di altri paesi (vd. anche il punto precedente sull’occupazione femminile) e limitati strumenti di protezione per chi perde il lavoro (versus protezione dei diritti di chi è già uscito dal mondo del lavoro ed è in pensione).

In sintesi: il libro, lungi dal mettere in discussione il valore della famiglia, porta a chiederci se un sistema diverso, che non obbligasse la famiglia ad occuparsi di tanti compiti che altrove vengono demandati allo Stato o al mercato non comporterebbe benefici in termini di benessere collettivo e qualità della vita (nonché una concezione più moderna di Stato e, forse, un diverso senso civico...).

giovedì 10 dicembre 2009

I viaggi de "Ilportapenne". Tredicesima tappa: Amsterdam.

Nonostante il Natale sia ormai vicino, è ancora il giallo soffuso dei lampioni a dominare. Di giallo sono illuminati i canali e i ponti che li attraversano; di giallo-oro e bianco sono le decorazioni dei grandi magazzini De Bijenkorf in piazza Dam. Nere, lo stile essenziale come quelle dei film di inizio ‘900, sono invece le biciclette: uno sciame silenzioso che attraversa la città in lungo e in largo.

Il verde contraddistingue invece i coffee shop: gruppi di ragazzi escono ed entrano ad ogni ora lasciandosi dietro un odore dolciastro che si dissolve velocemente nella fredda aria invernale. Rosse sono invece le luci che illuminano le finestre attraverso le quali le “signorine”, come le chiama la mia compagna di viaggio, fanno l’occhiolino ai passanti.

La Oude Kerk, la chiesa vecchia, è imponente nella sua sobrietà: attorno, qualche piccolo albero e una luce rossa. “Pensa un po’…quando la domenica si celebra la messa, la “signorina” dalla sua finestra potrà chiaramente sentire i cori e l’organo!” – dico alla mia compagna di viaggio. “Non penso che gliene importi molto” – risponde lei.

E chi lo può dire? Nella città del sesso e del fumo facili, dove gli eccessi sembrano trovare una loro sintesi in un superiore, quanto inaspettato, equilibrio, tutto pare possibile.

giovedì 3 dicembre 2009

Il sapere può essere condiviso?

Tempo fa mi è successo di affrontare i temi del social networking, del web 2.0 e degli attuali strumenti di collaborazione online legati a quello che oggi viene definito il web partecipativo, con una mia cara amica, che da anni si occupa di ricerca scientifica nel settore della fisica e della geologia.

Il concetto di web partecipativo è ormai noto: un nuovo Internet nel quale gli uomini, da meri fruitori di contenuti diventano essi stessi fonte/aggregatori/distributori di contenuti, rendendo di fatto la rete una grande arena di confronto/discussione aperta a tutti.

Ebbene, di fronte al mio entusiasmo nel parlare di questi temi, la mia amica mi confidava che il web partecipativo di fatto costituisce già da diversi anni una realtà imprescindibile per il mondo scientifico.

Alla base di questo vi è l’assunto che il confronto, la discussione, la "peer review" (la revisione di quello che una persona scrive/dice da parte dei suoi pari) sono di fatto un elemento obbligato e vitale per il mondo scientifico, che Internet ha senza dubbio esteso e facilitato. Un articolo su una rivista prestigiosa non viene mai pubblicato prima che sia avvenuto questo processo di confronto e revisione da parte dei pari.

Questo fatto mi è tornato alla mente leggendo un recente articolo di Nova, supplemento tecnologico de IlSole24Ore, dall’affascinante titolo “Il sapere è condivisione”.

Ho ripensato a quanto, di fatto, anche per il mio lavoro stia diventando importante e soprattutto proficuo da un punto di vista di crescita professionale, poter leggere i blog di persone che seguono, per passione o per lavoro, i miei stessi argomenti e potermi confrontare con loro.

E pensando a tutto questo non ho potuto non fare un confronto con quanto avviene di norma nelle nostre aziende (non solo nell’ambito privato ma, spesso, anche nel pubblico). Sì perché qui la condivisione non sembra davvero essere riconosciuta come un valore. Perché?

Forse perché, modificando i termini del titolo che citavo prima, “il sapere è POTERE”…e in quanto tale NON deve essere condiviso (perché più è condiviso, più si “diluisce”).

Questo, penso sia uno degli ostacoli principali che blocca l’adozione e l’utilizzo concreti di strumenti di web partecipativo nell’ambito delle aziende, anche in quelle nelle quali la condivisione dei saperi/delle esperienze porterebbe ad innegabili vantaggi.

E così continuiamo a coltivare ciascuno i nostri privati orticelli, paghi di quel poco che riusciamo ad ottenere/conoscere, privando la società nella quale viviamo e, in primis, anche noi stessi, di quell’accrescimento che deriva dalla condivisione dei saperi.

martedì 1 dicembre 2009

Germania: direttrice di banca come Robin Hood, condannata

Ha preso 8 milioni di euro dai ricchi per darli ai poveri

Fonte: http://ansa.it/web/notizie/rubriche/mondo/2009/11/24/visualizza_new.html_1620437359.html

BERLINO - Il crimine non paga, nemmeno quando è a fin di bene: 22 mesi di carcere con la condizionale é la condanna ricevuta a Bonn da una vera e propria Robin Hood tedesca, una direttrice di banca che prelevava dai conti correnti dei ricchi per risanare quelli dei poveri. E' accaduto a Bornheim, un piccolo centro vicino Bonn, la ex capitale della Germania federale fino alla riunificazione tedesca.

Qui Erika B., (anche il nome è stato modificato, per rispetto della privacy) dal 1990 era direttrice della locale cassa di risparmio, la Vr-Bank. Signora dall'aspetto rassicurante, in realtà ha saccheggiato per anni senza essere scoperta i conti correnti dei clienti più ricchi per ripianare quelli dei più poveri. In tutto, secondo quanto scrive oggi la 'Bild', tra il 2003 e il 2005 ha spostato 7,6 milioni di euro in 117 casi accertati. La donna, che ha 62 anni, per sé non ha mai preso nemmeno un centesimo, ha più volte ripetuto il suo avvocato difensore Thomas Ohm. Erika B. ha spiegato di avere aperto linee di credito anche per clienti meno abbienti, con il risultato di avere tanti conti correnti in rosso.

Per non attirare l'attenzione, quando si avvicinava una ispezione, trasferiva somme importanti dai libretti di risparmio di clienti benestanti a quelli dei più poveri. Passato il controllo, restituiva le somme trasferite ai legittimi proprietari. Questo però non sempre era possibile in quanto alcuni clienti dai conti in rosso profondo, riuscivano a spendere i soldi prima ancora che lei riuscisse a riprenderli. Alla fine, il danno arrecato alla banca da Erika B. è stato di 1,1 milioni di euro. Alla giudice che le chiedeva perché lo ha fatto, non ha saputo dare nessuna spiegazione per il suo gesto.

"Forse, senza rendermene conto, ero caduta in preda di una mania di aiutare" ha detto Erika, che oggi afferma di essere pentita. Il tribunale ha avuto difficoltà a condannarla. "Da una parte ha arrecato un grave danno finanziario - ha spiegato la giudice - dall'altra va notato che il suo è stato un comportamento senza fini di utile personale, quindi abbiamo affrontato un caso radicalmente diverso dai soliti". Dopo essere stata scoperta, la direttrice di banca dal cuore d'oro è stata licenziata in tronco, e per far fronte al debito ha dovuto vendere la casa, le polizze di assicurazione, quasi ogni bene. Insomma si è ritrovata sul lastrico, ed ora vive con una pensione di mille euro.