venerdì 30 settembre 2011

Mi dispiace signora...lei ce l’ha troppo lungo...

Ore 17.50. La calca di fronte ai tornelli dell’ingresso alla metropolitana è quella di un normale giovedì lavorativo milanese.

Lei, che ha i minuti contati (il treno parte 25 minuti dopo), si presenta di fronte al tornello con in mano il biglietto regolarmente acquistato il giorno stesso, pronta a procedere speditamente alla convalida. Inserisce il biglietto nell’apposita fessura e....”Beeeeeeh...”..un inquietante suono, seguito da luce rossa, le impedisce il superamento del tornello. Secondo tentativo in altro tornello...”Beeeeeeeh”...e medesima luce rossa.

Questa volta, però, lei osserva bene e nota una scritta sul display luminoso che comanda l’apertura del tornello: “Biglietto troppo lungo”. “Biglietto troppo lungo???..Cosa vorrà mai dire???!" si chiede Lei. Accanto ai tornelli, dentro una stanzetta con i vetri oscurati, ci sono i controllori...”Scusiiii", dice lei piegandosi verso l’apposito microfono...

Nessuna risposta..la stanzetta è infatti vuota. Nessun cartello, nessuna indicazione. L’addetto alle pulizie che assiste alla scena coglie lo sguardo inquieto e leggermente alterato di Lei ed allarga le braccia. “Che fare?" si chiede Lei.... "Tagliare il biglietto? E se poi è troppo corto?

Nella medesima stazione c’è un ufficio ATM: a quell’ora la coda esce abbondantemente dai locali arrivando a lambire il chiosco dei giornali. Lei si fa avanti con il biglietto in mano, alla ricerca del personale ATM. “Scusi, ma non riesco a passare con questo biglietto...ma è valido, l’ho acquistato questa mattina dalle emettitrici automatiche”. Lui guarda un attimo il biglietto e pacatamente dice “Signora, lei ce l’ha troppo lungo!... L’emettitrice automatica glielo ha tagliato male”...E, senza aggiungere altro, consegna a Lei un piccolo modulo (prestampato ma tagliato a mano...!) per il cambio del biglietto...dicendo: “Però deve fare tutta la fila!”. Lei afferra il biglietto (che effettivamente è qualche millimetro più lungo di quello normale) e si presenta al chiosco del giornalaio pronunciando parole irripetibili.

Prenderà il treno per miracolo, trovando posto, per miracolo, in una carrozza con aria condizionata e temperatura di 15 gradi. “Signora, riprenda fiato”, esclama una simpatica vecchietta. ”Sì grazie"... risponde Lei..."Sa... era lungo”. La vecchietta annuisce con un leggero cenno della testa: ”Eh sì... effettivamente sono proprio tanti vagoni”...

mercoledì 7 settembre 2011

La Crusca è salva...ma la lingua no...

Un emendamento ha evitato la soppressione, prevista dalla manovra, degli enti di ricerca e culturali con un numero di dipendenti inferiore alle 70 unità, categoria nella quale rientra anche la storica “Accademia della Crusca”. Ma chi/che cosa riuscirà a salvare la lingua italiana, così cara alla stessa Accademia?



Per anni abbiamo ascoltato i telegiornali e letto articoli di quotidiani e riviste: le notizie in fondo non sono cambiate molto. Si parla sempre di politica, di economia, di costume. Quello che è cambiato è il modo nel quale tale notizie vengono comunicate. Quegli stessi media che svolsero un ruolo importante nella diffusione di una lingua comune e condivisa nell’Italia disastrata del dopoguerra, oggi utilizzano un vocabolario assimilabile al vocabolario del bar, quell’insieme molto povero di parole ed espressioni che comunemente utilizziamo al bar con gli amici, di fronte ad un caffé.

I giornalisti sembrano ad esempio ritenere necessario ricorrere ad espressioni quali “L’uomo e la donna hanno fatto la fine del topo” (trasmesso in prima serata da un TG nazionale) affinché il pubblico comprenda la tragedia di una coppia di anziani coniugi soffocata dal gas nella propria abitazione. Forse pensano che l’uditorio sia costituito da persone incapaci di comprendere termini di uso comune se questi non vengono in qualche modo banalizzati e semplificati? Ecco il paradosso: la comunicazione, da parte di quella che dovrebbe essere l’élite di un paese (politica, economica, culturale, ecc.) tende a diventare sempre più povera e sciatta, ma questa estrema semplificazione non conduce ad una maggiore comprensione dei fatti, in quanto è fine a se stessa.



Su Internet il fenomeno è particolarmente evidente: certamente le caratteristiche del mezzo (i link, ecc.) rendono necessario il ricorso ad un registro linguistico differente, ma questo non giustifica l’utilizzo di un linguaggio sciatto. Un esempio: una volta le aziende erano solite preparare brochure dei propri prodotti. Il testo veniva riletto molto volte prima della pubblicazione. Difficilmente, pertanto, avremmo letto le seguenti frasi sulla brochure di una società che si definisce “uno dei più grandi specialisti di logistica nel mondo”: “ulteriori opzioni di rintrancciabilità delle spedizioni; ciò aiuta a censegnare senza ritardi; creare alltraverso l’innovazione un modello di logistica più flessibile; non tutti i prodotti sono disponibili in tutti i paese; non richiede l’installazione di un software specifico sul proprio PC o l’acquisizione di competente speciali; per avere il massimio delle performance, consigliamo Internet Explorer v4.0”. E se qualcuno di voi pensasse che si tratta di semplici sviste, ecco quello che si legge sul sito della medesima società (dal quale sono tratte le frasi precedentemente riportate): “Precisione del sito. Queste pagine web potrebbero contenere imprecisioni involontarie o errori tipografici. Questi, appena riscontrati, verranno corretti a discrezione della società”. Ecco appunto... a discrezione della società...e a discapito della povera lingua italiana...