mercoledì 26 maggio 2010

False trasparenze

Ormai è diventata una moda citare dettagliatamente sui giornali e in televisione i compensi di personaggi “pubblici” (conduttori dei programmi della televisione di Stato, manager delle aziende pubbliche ecc.). Talvolta addirittura si arriva alle informazioni di dettaglio sulle proprietà immobiliari e non. A che cosa porta tutto questo? Ad una maggiore trasparenza? Ad una maggiore moralità?

Certo, sapere che un conduttore televisivo guadagna, magari in una sola serata, molti più soldi di quanti ne guadagna un impiegato in 5 anni può non far piacere ma se tali guadagni sono correlati ad un guadagno per l’azienda che lo impiega (in termini di pubblicità, sponsor, ecc.)? E se il produttore X guadagna miliardi per un programma che viene da noi ritenuto “spazzatura” ci indigneremo contro il produttore? O forse contro le tante persone che consentono tali guadagni assicurando a tali programmi un’elevata audience?

E per quanto riguarda altre categorie, delle quali in teoria si sa tutto o quasi? Abbiamo molti libri che parlano dei compensi dei politici e di tutti i relativi privilegi. Che cosa fare in questo caso? Come assicurare che questi personaggi adempiano ai propri compiti? Installeremo telecamere a modi “Grande Fratello” per controllare che cosa fanno/dicono e il tempo che passano alla buvette a mangiare cornetto e cappuccino o dal barbiere?

E soprattutto... sapere dell’esistenza di tutti questi privilegi allontana forse lo spettro dei compensi illeciti dei personaggi politici (quelli che molto più raramente diventano noti al pubblico)…quelli per favori concessi, per appalti facilitati, per normative “ammorbidite”?
Norme più severe contro la corruzione possono, immaginiamo, servire soprattutto come minaccia, come strumento di deterrenza. Ma questo è sufficiente?

Il problema è che i comportamenti che ci indignano toccano dal profondo concetti come morale ed etica professionale che non si possono imporre e che valgono per tutti i cittadini, impiegati pubblici e privati. Come ricordava qualche giorno fa un importante sociologo, il problema è come “ricostruire” il cittadino, come assicurare che certi valori (rispetto per gli altri e per la “cosa pubblica”, onestà, etica professionale, ecc.) vengano inculcati nelle famiglie e poi nella scuola e nella società in generale.

Compito senz'altro molto più arduo ma, allo stesso modo, molto più promettente, della pubblicazione dei compensi nei titoli di coda delle trasmissioni televisive e di tutte le operazioni di facile trasparenza e di facile moralità che oggi vanno tanto di moda.

lunedì 17 maggio 2010

Se fossi la signora F.

Se fossi la signora F., penso non mi avrebbe fatto molto piacere leggere l’intervista nella quale mio marito, direttore di un noto quotidiano nazionale, afferma che a 67 anni (dunque in età pensionabile) resta al lavoro perché lo terrorizza l’idea di tornare a casa dopo aver fatto la spesa e sentirsi rimproverare dalla moglie per aver acquistato la marca sbagliata di pasta.

E’ vero che nella medesima intervista il direttore precisa di avere uno splendido rapporto con moglie e figli, ma le sue affermazioni confermano un dubbio che da tempo ci poniamo…: quanti uomini decidono di restare al lavoro oltre l’età pensionabile per timore di quello che li aspetta fuori dall’ambiente lavorativo?

Eppure si penserebbe che una coppia, in salute e dotata di mezzi economici, una volta che i figli abbiano raggiunto l’età dell’ìndipendenza, abbia oggi un mondo di opportunità: viaggiare, la possibilità di coltivare i propri hobby (o di scoprirne di nuovi), la possibilità di frequentare con maggiore libertà le proprie amicizie, godersi il piacere di quelle piccole cose che la frenesia di tutti i giorni ci impedisce di apprezzare.

E invece la vita oltre il lavoro, nell’immagine descritta dal nostro direttore, sembra fatta di una monotona quotidianità scandita dai rimproveri della moglie (che poi, e lo diciamo per esperienza personale, probabilmente aveva specificato accuratamente al marito quale marca di pasta acquistare!).

Non solo, ma la permanenza di persone di età avanzata sul luogo di lavoro ha conseguenze non indifferenti anche dal punto di vista dell’organizzazione aziendale. Non significa infatti genericamente un minore dinamismo in termini di di ricambio generazionale, ma anche un minore ricambio delle idee ed il rischio di continuare ad importare nel lavoro schemi/modelli che non si adeguano più alla realtà. Certamente esistono persone che, a prescindere dall’età, hanno una visione del presente e del futuro particolarmente innovativa, ma nella maggior parte dei casi si tratta di eccezioni.

Se poi un giorno scoprissimo che la signora F. continua a lavorare oltre l’età pensionabile perché trema all’idea di passare le proprie giornata a rimproverare il marito per aver acquistato la marca sbagliata di pasta allora saremmo seriamente preoccupate. Ma sarà che le donne in posizioni di rlievo nel mondo lavorativo italiano sono ancora poche (e dunque meno intervistate) o sarà semplicemente il fatto che il mondo lavorativo della donna si spinge, per tradizione, sempre oltre il confine dell’ufficio...pensiamo di essere nel giusto nel ritenere che difficilmente leggeremo un giorno una simile intervista.

mercoledì 12 maggio 2010

I viaggi de "Ilportapenne": Parigi

Il treno entra alla Gare de Lyon di Parigi in perfetto orario, primo segno che abbiamo varcato i confini nazionali.

Nonostante la grandezza della città, il traffico scorre agevolmente nei grandi boulevard: c’è anche chi riesce ad andare in bicicletta.
Sarà il suono dolce della lingua, saranno le boulangerie e patisserie con le loro baguette e croissant che ci guardano invitanti dalle vetrine, saranno gli alberi maestosi lungo i boulevard o le insegne del metro in stile liberty, ma l’atmosfera sembra particolarmente rilassata…o sarà semplicemente che siamo in vacanza e, lasciati indietro la quotidianità ed il lavoro, tutto ci sembra più bello.

In Place des Vosges i bimbi giocano: sotto i portici le gallerie d’arte espongono le opere, mentre alcuni artisti espongono i quadri direttamente all’aria aperta. E c’è chi si ferma a discutere con gli artisti sul significato delle opere o a chiedere il perché dell’espressione di una scultura…”Sì, effettivamente ho uno stile un po’ accademico” risponde pacatamente un signore di 60 anni alla coppia di francesi che lo interroga, mentre tiene nella mano la piccola scultura di una bambina.

Il ragazzo che gestisce il piccolo negozio di souvenir e cartoline all’ingresso della piazza è turco, anche se nato in Francia, e ha le idee chiare sulle politiche dell’immigrazione: “Voi italiani non volete gli stranieri…ecco almeno siete chiari..qui in Francia invece sono ipocriti…dicono che ci vogliono – ed in effetti hanno bisogno di noi in tanti lavori quotidiani – ma poi ci trattano da cittadini di serie B”. Affermazione alla quale non so bene che cosa rispondere, ma che, nonostante il sorriso del ragazzo turco, non mi suona esattamente come un complimento…

A Chantilly, circa 40 km da Parigi, all’interno del castello, visitiamo quella che la guida dichiara fieramente essere “la seconda pinacoteca più importante della Francia, dopo il Louvre”. “Per volontà degli ultimi eredi, tutto ciò che è conservato nel museo non può essere né venduto, né prestato…” dice la guida “...e nulla può essere restituito”, aggiunge, sogghignando mentre guarda un mosaico proveniente da Ercolano sistemato su un muro (avrà intuito che siamo italiani?).

Mangiamo in una casetta all’interno dell’immenso parco del castello: qui proviamo la vera crema “Chantilly” e beviamo la birra “Rebelle”, dedicata ad una donna che guidò, intorno al 1500, una rivolta contro Carlo il Temerario (pieni di eroine questi francesi: Giovanna d’Arco e questa giovane donna, anche lei, curiosamente, di nome Giovanna!). L’etichetta sulla bottiglia riporta la storia della birra e presenta un simbolo curioso che non avevo mai visto: una donna con il pancione mentre beve la birra ed una riga tracciata sopra…Altro che “bevi responsabilmente” ed altri motti simili…qui proprio “vietano” la birra alle donne incinte, con tanto di segnaletica dedicata!

Il castello di Malmaison, a pochi km da Parigi, è stato per diversi anni la residenza di campagna di Napoleone e anche luogo di riunioni del governo. L’atmosfera è molto tranquilla: nulla a che vedere con lo sfarzo delle residenze di principi e nobili. Per questo non ci è difficile immaginare Napoleone seduto al tavolo da pranzo o nella biblioteca o nella stanza della musica, o mentre gioca al biliardo, come un marito qualsiasi (o quasi).

Ripartiamo dalla Gare de Lyon e arriviamo a destinazione, in Italia, puntuali, neanche 5 minuti di ritardo…eppure siamo in Italia (ah no, dimenticavo, il treno è francese…!)

venerdì 7 maggio 2010

Welcome to Rho-Fiera Milano!


Secondo il sito ufficiale è il “centro espositivo che per dimensioni, funzionalità, qualità architettonica si colloca ai vertici del mercato fieristico mondiale”*. E in effetti, quando si arriva a Rho-Fiera (detta anche Fiera Milano) la prima impressione può essere quella, se non altro per l’aspetto architettonico, che davvero non può non lasciare indifferenti (vd. foto).

Ci incamminiamo dunque fiduciosi lungo i padiglioni della manifestazione che ci interessa: varcata la soglia d’entrata la fiducia però comincia a scemare. Ci sentiamo completamente persi. I cartelli sono poco chiari e posizionati ancor peggio, le cartine praticamente incomprensibili (forse anche perché scritte con caratteri “8”). Vaghiamo alla ricerca della sala congressi che ci interessa: finalmente, con non poca fatica, la troviamo. Peccato che la sala abbia una capienza assolutamente insufficiente: la metà dei presenti è costretta a stare in piedi (e nessuna hostess verrà in nostro soccorso con sedie aggiuntive, come capita altrove) e dopo un po’ di tempo, causa anche l’insufficiente aerazione del luogo, la sensazione di soffocamento è diffusa…

Terminata questa sofferenza fisica, il povero visitatore parte alla ricerca di un luogo nel quale potersi ristorare: nonostante la quantità di persone presenti, i luoghi nei quali poter soddisfare tale esigenza sono pochi e squallidi (e cari). Forse la seguente sosta sarà più promettente? La ricerca delle toilette si rivela alquanto ardua: in compenso troviamo la tipografia, l’ufficio che mette a disposizione hostess ed accompagnatrici e… la “zona del silenzio”…incuriositi dal nome ci incamminiamo e, sorpresa sorpresa, proprio qui troviamo le agognate toilette..poco più in là, un luogo che deduciamo essere dedicato alla meditazione spirituale e alla preghiera (e dopo un’esperienza di questo tipo forse ce n’è davvero bisogno).

Finalmente la manifestazione termina e ci incamminiamo verso la nuovissima stazione ferroviaria Rho-Fiera per prendere il treno (vd.foto).
Acquistiamo il biglietto alla biglietteria automatica perché di esseri umani non c’è ombra..la macchinetta, abilitata a dare resto e ad accettare carta di credito e bancomat non accetta né l’una né l’altro e ci restituisce un resto inferiore al dovuto (nonostante riporti che dà resto massimo in moneta fino a 9€).
Mancano 30 minuti all’arrivo del treno: saliamo lungo le scale mobili e in superficie veniamo travolti dalla bora che da Trieste ha raggiunto direttamente Rho-Fiera, bypassando le stazioni intermedie: data la stanchezza vorremo sederci sulle poche panchine posizionate lungo i binari ma il rischio di assideramento è troppo elevato e scendiamo, come tutti gli altri viaggiatori, al livello -1.

Nella stazione (nuovissima) non c’è ombra di un bar nel quale potersi riparare e dunque, nella speranza di trovare bar all’esterno, ci incamminiamo verso l’uscita. Quello che troviamo non è esattamente quello che cercavamo (vd. foto).

A questo punto l’unica speranza è di trovare una panchina al livello -1, sotto la stazione…qui gli unici punti di appoggio (vd. foto) sono però inutilizzabili..qualcuno in verità si azzarda ad utilizzarli come panchine, ma desiste presto.
















Nell’impossibilità di sederci continuiamo a camminare su e giù per i corridoi del livello -1, come tutti gli altri viaggiatori, fino all’orario dell’arrivo del treno (anche qui, ovviamente nessun punto di ristoro, nessun bar, ecc.).

Alla fine il treno che arriva è pieno e dobbiamo nuovamente stare in piedi: la tentazione di emulare l’urlo di Fantozzi è forte, ma l’importante è andare via e lasciare il più possibile lontano da noi questo “centro di eccellenza”….

http://www.fieramilano.it/portal/page?_pageid=36,1,36_64507&_dad=portal&_schema=PORTAL