mercoledì 28 ottobre 2009

I viaggi de "Ilportapenne". Dodicesima tappa: Cambridge (UK)

Alle 8 del mattino, nei vialetti del King’s College, l’odore dell’erba tagliata si unisce alla sottile brina.

Per raggiungere la biblioteca si supera il ponte sul Cam, con la sua vista sulla cappella: un’occhiata veloce ai backs, la vegetazione verde intenso, i fiori ben curati, qualche animale che si aggira tranquillo per il prato, gli studenti con i libri sottobraccio.

La biblioteca è una struttura moderna, ma dal fascino antico: un dedalo di corridoi, sui quali si affacciano scaffali di libri, e all’inizio di ciascuna fila il contatore della luce per non sprecare energia elettrica. Mentre scorro la lista dei titoli, il ticchettio del contatore procede inesorabile e mi lascia completamente al buio dopo pochi minuti.

Le storie lette su Varsity, il giornale universitario, sono vere: molti amori sono sbocciati all’interno di queste file di libri, con la complicità dei contatori. Lungo i corridoi, banchetti di legno appena rischiarati dalla debole luce di piccole lampade da tavolo: gli studenti, infreddoliti (si risparmia anche sul riscaldamento), sfogliano le pagine dei libri con i polpastrelli lasciati liberi dai guanti di lana.

Alle 17, all’uscita è già calato il buio: le luci delle vetrate del college, l’organo che risuona nella cappella del King’s e le voci che intonano gli inni sacri. La giornata è finita: il portiere con la tonaca dei colori del college mi saluta e mi augura una buona serata.

http://www.cambridgeincolour.com/cambridge-gallery.htm

domenica 25 ottobre 2009

Cercasi soluzione

Mi chiedevo una cosa.
Un lavoratore statale ha diritto, per i primi tre anni di vita del proprio figlio, a usufruire del congedo per malattia del bambino. Si tratta di trenta giorni all'anno retribuiti al 100% e, dal trentunesimo, un numero illimitato di giorni a stipendio zero. Bene, ottimo mi sembra!
Ora, dal terzo all'ottavo anno di vita del bambino i giorni diventano, sapete quanti? CINQUE! Cioè si hanno a disposizione numero cinque giorni all'anno per assentarsi causa malattia del figlio. Ora, che cosa fanno normalmente i bambini a tre anni? Iniziano la Scuola dell'Infanzia e non occorre essere pediatri per prevedere che cinque giorni di malattia all'anno siano un po' pochini. Diciamo che in linea di massima in cinque giorni si cura un'influenza. Allora che fare se il nostro bambino di tre anni si ammala un'altra volta? Lo lasciamo a casa da solo, raccomandandogli di leggersi bene il foglietto illustrativo prima di assumere medicine? Lo mandiamo all'asilo malato? Lo portiamo al lavoro con noi? Ci diamo malati noi? Io non vedo soluzioni umanamente o legalmente accettabili.
E' chiaro che il legislatore non aveva figli, o i suoi erano piccoli titani!

martedì 20 ottobre 2009

...

La prima intenzione era quella di fare un'operazione di “copia ed incolla” dei titoli delle ultime due settimane dei più importanti quotidiani nazionali. Un susseguirsi di parolacce, insulti, invettive: politici contro politici, politici contro giornalisti, giornalisti contro politici, politici contro magistrati, giornalisti contro magistrati magistrati contro politici e così via... Che cosa rappresenta tutto questo? Un involgarimento della politica che si propaga a tutti i settori della società e la fine del confronto politico nel senso più nobile, quello del confronto delle idee, confronto anche serrato, ma sempre confronto.

Eppure ci sono anche i bene informati che ci raccontano che tutto questo fa parte in realtà del teatrino della politica, che alla buvette del Parlamento le pacche sulle spalle si sprecano tra supposti “nemici”…e allora a che pro tutto questo?

Quale che sia la realtà, mi sembra che entrambe le situazioni siano preoccupanti:
nel primo caso l’avversario politico cessa di essere tale e diventa “nemico”: l’odio si sostituisce al confronto e le idee, i programmi, diventano elementi del tutto secondari del dibattito politico, oscurati dall’insulto e dall’invettiva;
nel secondo caso si fa ricorso alla volgarità perché in quest’era mediatica appare fondamentale urlare più forte..perché chi urla più forte viene più ascoltato..stupire l’uditorio, la “gente”, i cittadini, “colpire” conta più dell’argomentare e comunque in fondo tutto è apparenza, perché i politici di tutti gli schieramenti non ambiscono a cambiare in meglio la società, ma semplicemente a preservarsi come casta, con tutti i privilegi che questo comporta.

Entrambe le situazioni stanno determinando effetti perversi, spesso poco considerati, nel paese, tra le persone “comuni”. Chiacchierate tra amici con opinioni politiche diverse sfociano sempre più sovente in brutte imitazioni delle schermaglie tra politici nazionali, mentre al contempo si diffonde una sempre più profonda disaffezione nei confronti della politica e dei politici.

Nel passato gli scontri avvenivano, ma sullo sfondo c’era un contesto politico-internazionale molto diverso, con una netta contrapposizione tra blocchi. Molti dei termini del dibattito di allora oggi non hanno più senso: continuerebbe invece ad avere senso il confronto tra idee diverse, tra proposte e contributi diversi per il miglioramento della società nella quale viviamo…e sarebbe un bel confronto.

giovedì 15 ottobre 2009

Oggi come ieri

Scusate, mi è venuta in mente una cosa, ma nessuno si offenda eh?
Ci sono alcune consuetudini della vita quotidiana moderna che a me sembrano rubate al passato o al mondo animale.
Ecco, ad esempio, trovo curioso avere acqua corrente potabile nelle case e caricarsi di bottiglie al supermercato come facevano le bisnonne al pozzo.
E poi un'altra cosa, ma questa è brutta. Avete presente i bar la mattina presto? Pieni di gente che trangugia roba indigeribile! Ragazzi, a me sembrano gli animali alla mangiatoia, con il barista che somministra il mangime e loro che si affollano. Invece sono dirigenti o impiegati in giacca e cravatta! Intendiamoci, anche a me capita a volte di doverlo fare ma, credetemi, se posso lo evito come la peste.

mercoledì 14 ottobre 2009

A René...

Su una parete della mia stanza, da anni mi fa compagnia una riproduzione de “L'empire des lumières” del pittore belga surrealista René Magritte (http://www.opac-fabritius.be/fr/F_database.htm).

Un pomeriggio, ai Musées Royaux des Beaux-Arts di Bruxelles, me lo sono ritrovata davanti e sono rimasta alcuni minuti immobile, a bocca aperta: era come se una forza mi impedisse di volgere altrove lo sguardo. E lo stesso avviene ancora oggi, di fronte alla sua riproduzione.
Perché? Che cosa rende così speciale una tela ai nostri occhi? Perché quella sensazione che ci pervade al punto da lasciarci senza parole, quasi inebetiti?

Per quanto riguarda la musica la risposta sembra più semplice: una canzone ci piace (anche) perché la associamo a particolari momenti della nostra vita: anzi, spesso il riascoltare una canzone ci consente di rivivere quei momenti per qualche istante.
Ma per quanto riguarda il quadro la questione sembra più complicata….

Forse semplicemente è “stupore” la parola chiave, quella sensazione di sorpresa/suggestione/ammirazione che ci lasciano quei colori e quelle forme, che ci colpiscono aldilà della nostra particolare condizione, in modo “estemporaneo” e dunque, per definizione, senza tempo...

domenica 4 ottobre 2009

Crescere o semplicemente vivere?

Sto leggendo un libro, "Con il cielo negli occhi" di Franco Lorenzoni (ed la meridiana). Parla dell'esperienza dell'insegnamento dell'astronomia di un maestro elementare, con metodi basati sull'osservazione, il disegno e la percezione di spazi e tempi in modi semplici: appuntamenti serali davanti alla finestra aperta per disegnare l'orizzonte, le posizioni di Luna e stelle, dei tramonti del Sole, ricerche di miti, detti popolari, condivisione e discussione con i compagni.

Mi viene da fare il paragone con i programmi della Scuola dell'Infanzia, con inglese, nuoto, psicomotricità (leggasi ginnastica), cui le famiglie volenterose aggiungono tante altre cose. Sapete che esistono corsi di danza per bambini dai 3 anni in su? E gli asili nido non prevedono forse laboratori (sì sì li chiamano così) per unenni? C'è una frase del libro che mi ha colpito "...sembra che l'unica cosa importante che debbano fare i bambini è crescere e diventare grandi e l'aspetto degno di maggiore attenzione siano le loro trasformazioni, più che il loro presente e il loro sentire..."

A discapito dell'ultraspecializzazione degli operatori del settore, il mondo dell'infanzia sembra quasi un problema della società: i nostri bambini rischiano di attraversare troppo velocemente la loro età più bella e intellettualmente più feconda, tra corsi ed esperienze varie, senza avere il tempo di fermarsi a riflettere su quello che ogni giorno semplicemente vedono e "...magari, diventati adulti, passare la vita a farsi curare, ricercando parole e immagini della propria infanzia."

venerdì 2 ottobre 2009

A proposito di Coca-Cola...e la risposta è...(aggiornato con aneddoto nei commenti)

L’Islanda! (Questa volta non ci complimenteremo con Sergio perché sappiamo che ha avuto un aiutino…;-).

Questa, almeno, è la risposta fornita dal libro: su Internet ho trovato citato anche il Messico…purtroppo, sul sito della Coca Cola non vi sono informazioni di dettaglio che consentano di dare una risposta definitiva... quindi dovrete accontentarvi di sapere che questi due paesi sono ai primi posti in termini di consumo pro-capite annuo della celebre bevanda.

Più interessante è invece sapere che fu proprio in Islanda che la società condusse un esperimento che si sarebbe rivelato decisivo per portare la Coca-Cola a tutti i soldati americani impegnati al fronte (obiettivo, questo, che la società si era posta sin dall'inizio della seconda guerra mondiale).

La compagnia aprì in Islanda un impianto di imbottigliamento: grazie all'imbottigliamento in loco della bevanda, la società si limitava a trasportare dagli Stati Uniti il solo concentrato di Coca Cola, evitando così il trasporto delle bottiglie vere e proprie, non troppo agevole in tempi di guerra (tra l'altro il Governo, riconoscendo la Coca-Cola come un bene primario per il soldato, spesso contribuì in prima persona a finanziare la realizzazione degli stabilimenti di imbottigliamento all'estero...).

Ai rappresentanti della Coca Cola l’esercito degli Stati Uniti riconobbe inoltre, durante la guerra, lo statuto di “osservatori tecnici” che di norma veniva riservato ai civili i cui servigi venivano ritenuti essenziali ai fini dello sforzo bellico. Grazie alla guerra e alla vittoria degli Stati Uniti (con tutto quello che questo comportò in termini di pubblicità e visibilità della bevanda) la società riuscì ad espandersi sui mercati esteri in un modo che, per stessa ammissione della società, "avrebbe altrimenti richiesto 25 anni e 25 milioni di dollari” (M. Pendergrast, Storia della Coca-Cola, Odoya, Bologna, p.341).