mercoledì 30 giugno 2010

Tutti insieme appassionatamente (in coda)

Accanto alla mancanza dei miscelatori nei bagni e alla presenza pervasiva della moquette, è probabilmente uno degli aspetti che maggiormente colpisce il turista italiano. Parliamo dell’arte di fare la coda che contraddistingue gli inglesi.

Alla fermata dell’autobus la serpentina si snoda sinuosa ed ordinata anche nel caos frenetico della città: nulla a che vedere con l’italico assalto alla diligenza sui mezzi pubbici. E si tratta di una vera e propria arte, caratterizzata da regole di comportamento ben precise, la cui violazione è motivo di profonda riprovazione (che si esprime soprattutto in un linguaggio del corpo, ma mai con gli insulti tipici nostrani, perché, ricordiamolo, siamo in Inghilterra!).

Ovviamente la prima e più importante regola morale che si applica all’arte del fare la coda è il divieto assoluto del saltare la coda. A scanso di equivoci, in occasione del torneo di Wimbledon, che attrae moltissimi visitatori stranieri non avvezzi alla nobile arte, viene distribuita un’apposita "guida al fare la coda" dal titolo “A Guide to Queueing for the Championships (vd.foto)”.


All’interno un dettagliato codice di condotta la cui violazione causa il rifiuto dell’ingresso da parte dell’organizzazione.
Le regole principali sono nove: una, in particolare, risalta, in quanto scritta in stampatello :“Saltare la coda non è accettabile e non sarà tollerato”. Non solo, ma: 1) si considera in coda soltanto chi vi si inserisce e vi resta fino al momento dell’acquisto del biglietto ed è in possesso della “Queue Card” (vd. foto); 2) è vietato “riservare” il proprio posto mettendo del materiale (sedie o altro): bisogna infatti essere fisicamente presenti sul posto; 3) è possibile tenere il posto per un’altra persona soltanto in caso di brevi assenze (es: toilette). Soltanto chi rispetta queste regole può ambire ad entrare nel prestigioso complesso di Wimbledon.

Ai coraggiosi disposti ad attendere in coda per ore (o ad accamparsi anche la notte precedente per conquistare i primi posti della fila…ovviamente in spazi predisposti e seguendo precise regole di comportamento) viene anche consegnato un adesivo (vd. foto), che potrà essere apposto sulla maglietta. La scritta sull’adesivo testimonia l'eroica impresa compiuta…Che cosa c’è scritto? “Ho fatto la coda per il torneo 2010 di Wimbledon”…ovviamente…che altro?

lunedì 28 giugno 2010

La prima volta (dell'Inghilterra)

Ora che l’eco della partita nostrana comincia lentamente ad affievolirsi, può essere interessante sbirciare quello che succede altrove. Già perché anche altrove la follia mondial-calcistica imperversa. Ieri, il quotidiano inglese “Daily Mail”, nella sua edizione della domenica, dopo essersi soffermato a descrivere la razzia di salsicce e birra degli inglesi nei supermercati in previsione della partita Inghilterra-Germania, dedicava pagine e pagine al big match.

In particolare, a pag.8 il quotidiano elencava una serie di motivi che rafforzavano la speranza di una vittoria del team inglese:

1) i calzini rossi: indossare la tenuta da gioco rossa (calzini, maglietta, pantaloncini) avrebbe portato bene visto che l’ultima volta che l’Inghilterra aveva giocato contro la Germania aveva proprio questa tenuta ed aveva vinto 2-1;
2) era il ventottesimo match di Capello come manager dell’Inghilterra: sei degli ultimi 8 manager avevano vinto il loro ventottesimo incontro;
3) il luogo nel quale si giocava la partita è conosciuto come “città delle rose” e il simbolo della squadra contiene 10 rose intorno a 3 leoni.

E ancora: giocare di domenica avrebbe portato bene, come pure il fatto che la BBC avrebbe commentato l’incontro (i commentatori dell’emittente ITV avevano “portato male” alla squadra in occasioni passate) e così via. Unico neo: l’Inghilterra non aveva mai vinto incontri arbitrati da un uruguaiano (ma, specificava il giornalista, “c’è sempre una prima volta”).

Insomma, l’unica cosa che è mancata è stata proprio quella “prima volta
”.

giovedì 24 giugno 2010

Il fiorellino, il fascista e il comunista

Ogni volta che ci passo davanti ne trovo una nuova: accanto ai “Ti amo piccolina by Jim” o “Sei il mio fiorellino by Mary” trovo “Fasci m…”, “Comunisti al rogo” e così via. Sullo stesso muro dell’istituto per ragionieri e geometri.

E ogni volta mi chiedo: ma chi scrive queste cose? Senz’altro si tratta di scritte recenti, non certo risalenti agli anni di piombo. Dunque scritte di persone che verosimilmente appartengono alla generazione degli anni ‘80-‘90, quelli, per intenderci, che hanno vissuto la caduta del muro di Berlino, la fine delle ideologie e dei blocchi contrapposti, che hanno visto avvicendarsi in Europa e nel nostro paese forze politiche nuove, correnti nuove.

Che senso ha allora, oggi, utilizzare questi termini? La sensazione è che oggi vengano utilizzati come slogan, come facili scorciatoie a ragionamenti più complessi, alla disponibilità alla discussione, al confronto civile e democratico.

E ancora altre facili etichettature: un libro che parla dell’importanza delle donne nell’economia diventa subito un libro femminista, mentre un libro che parla dell’importanza della lobby ebraica nella politica estera statunitense è, per definizione, un libro antisemita. Insomma, troppo spesso una rigidità ideologica che impedisce di discutere, approfondire, capire.

E allora ecco le contrapposizioni estreme: tra quelli che ci credono fortissimamente, spesso "a prescindere", e quelli che semplicemente passano e non si curano più delle cose. E la via di mezzo, quella del “non diamo tutto per scontato, discutiamo, non fermiamoci agli slogan” è quella più difficile da perseguire.

lunedì 21 giugno 2010

Italia - Nuova Zelanda: assenza di segnale...

Ieri pomeriggio, il P.T.S (piccolo teleutente sabaduo), al pari degli italici connazionali, se ne stava seduto in poltrona a trepidare di fronte alle gesta dell’italica squadra.

A pochi minuti dallo scadere del primo tempo, il P.T.S si allontanava per un attimo dalla postazione in cerca di una bevanda ristoratrice in grado di alleviare lo sconforto di fronte al deludente 1-1.

Al suo ritorno, sul bel televisore 16:9, campeggiava la minacciosa scritta “ASSENZA DI SEGNALE”.Il P.T.S, agguantato il telecomando del decoder, non si dava per vinto e cominciava uno zapping compulsivo…seguito da spegnimento totale del sistema… e poi ancora da un susseguirsi di menù, cerca canale, sintonizzazione automatica, aggiorna lista canali…menù, cerca canale…ARGGHH inutile!... Nulla anche sul secondo decoder collegato al medesimo televisore. Seguiva corsa affannosa verso la cucina dove era posizionato il secondo televisore (con collegato il terzo decoder)…nulla. A questo punto il P.T.S cominciava a pronunciare vari epiteti alla direzione dell’emittente pubblica radiotelevisiva (quegli epiteti che nei fumetti di Walt Disney vengono rappresentati con tuoni, fulmini, saette…).

Preso da sconforto, il P.T.S accendeva la radio (quello scatolotto ben più antico di Internet, della televisione e del digitale terrestre…). E finalmente una voce amica lo raggiungeva: dunque, una forma di vita umana ancora esisteva nell'etere! E al pari di Radio Londra, anche questi commentatori sapevano dell’esistenza del P.T.S (“ci giunge ora notizia dagli amici piemontesi che buona parte della regione è rimasta senza segnale…e che pertanto i nostri amici seguiranno con noi la partita”).

I minuti passavano, il goal non arrivava, e il P.T.S (che nel frattempo si era trasformato nel P.R.S – piccolo radioascoltatore sabaudo) continuava a fissare lo schermo del suo bellissimo televisore, senza neppure il conforto delle cartoline dei casolari dispersi nella campagna toscana dello storico intervallo della Rai.

Alle 20 il P.T.S.I (piccolo teleutente sabaudo in….dispettito) si sintonizzava sui canali dell’emittente pubblica e scopriva che sì… lui solo ed i suoi conterranei, in tutta Italia, non erano riusciti a vedere il secondo tempo della partita causa “violento sbalzo di tensione elettrica sulla rete del gestore nazionale che alimenta l’impianto principale della Rai” della sua zona.

Il P.T.S, sconsolato, guarda fuori della finestra le torri della televisione che dominano la collina…maestose, imponenti, eppur così fragili…*

*Nota per i lettori: il tocco “lirico” finale è frutto di un ripensamento notturno…(che ha ispirato al P.T.S pensieri assai più innocenti di quelli che popolavano la sua mente il pomeriggio precedente).

lunedì 14 giugno 2010

Aspettando Italia-Paraguay...

Ebbene sì..ormai ci siamo. Questa sera i lavoratori italici si affretteranno ad uscire dagli uffici per essere sicuri di assistere alla partita d’esordio con la pancia piena ed il bicchiere di birra in mano, comodamente seduti sulla poltrona del salotto, mentre fuori, nelle strade, regnerà la calma.

Tutti speriamo ovviamente in un esito positivo e in una partita bella e divertente.
Ma se così non fosse, non preoccupiamoci…i motivi per non far bene (che verranno immediatamente citati al termine della partita in caso di esito negativo) sono molteplici:

1) Le vuvuzela – le famose trombette – assorderanno i nostri giocatori impedendo loro di seguire i consigli dell’allenatore (la squadra avversaria ha annunciato che giocherà invece munita di appositi para-orecchie…la squadra italica, non avendole a disposizione, aveva chiesto al pubblico di suonare temi più consoni all’italico orecchio, tipo marcia trionfale dell’Aida, ma sembra che il pubblico si sia rifiutato asserendo che costituirebbe un indebito vantaggio per la squadra italica)

2) È prevista pioggia e questo potrebbe compromettere le prestazioni (solo della squadra italiana ovviamente…perché le nuvole sudafricane, si sa, sono ferventi ammiratrici di quelle di fantozziana memoria)

3) Il pallone utilizzato non sarà della forma corretta, quella alla quale sono abituati gli italici giocatori, compromettendo le giocate dei calciatori e le parate del portiere. D’altronde, difficile abituarsi per chi, come i giocatori italici, è abituato ad utilizzare palloni le cui caratteristiche sono state studiate appositamente dal genio di Leonardo (già, perché oltre ad occuparsi di corpo umano, macchine volanti, ecc. nel tempo libero il grande Leonardo giocava nel campetto del “Vinci Associazione Calcio” nel tentativo di elaborare le dimensioni perfette per questa palla rotolante così amata dal popolo italiaco)

4) Le numerose “bagne caoda” mangiate al Sestriere durante gli allenamenti comprometteranno le doti agonistiche dell'italica squadra (oltre che il loro alito…). A questo proposito, voci di spogliatoio riferiscono che come schema alternativo, in caso di difficoltà sul campo, l’allenatore stia valutando la possibilità di chiedere ai giocatori di sistemarsi immobili di fronte agli avversari a bocca spalancata.

E poi ovviamente ci saranno la stanchezza post-campionato, post-coppe (che però dovrebbe giocare a nostro favore…i giocatori dell’Inter sono tutti stranieri no?), post-pisolino pomeridiano e così via…

Insomma, vada come vada, le spiegazioni per giustificare una pessima prestazione non mancheranno. Ma speriamo non siano necessarie…forza azzurri!

mercoledì 9 giugno 2010

Quel tesoro nascosto tra mutande e calzini

Da una ricerca condotta nel Regno Unito, è stato stimato che nel 2009 circa 4.500 chiavette dati USB siano state smarrite nelle lavanderie a secco da clienti distratti che si sono dimenticati di svuotare le tasche dei propri vestiti.*

E il dato è stato ripreso da una nota società, che lo cita a riprova della necessità, per le aziende, di dotarsi di strumenti che limitino il rischio che dati sensibili possano essere così facilmente diffusi (o impedendo che tali dati vengano copiati dal PC aziendale sulla chiavetta USB o adottando sistemi di crittazione che li rendano inaccessibili a persone non autorizzate).

Insomma, un’ulteriore dimostrazione del fatto che i rischi più seri alla sicurezza dei dati detenuti dalle aziende non provengono dai tanto temuti hacker o virus, ma dalle stesse persone che ci lavorano (e che talvolta li sottraggono volontariamente o, che, talvolta, come nel caso delle chiavette abbandonate, li rendono accessibili a tutti per distrazione).

Questa lettura mi ha riportata indietro con la memoria a tristi sabati mattina passati nelle lavanderie pubbliche a gettoni (quelle che da noi sono frequentate soprattutto da stranieri e che invece, in altri paesi europei, sono comunemente utilizzate).

Funziona così: il povero cliente arriva con il suo sacco di indumenti da lavare ed il suo detersivo. Acquista il gettone dal gestore e poi attende il proprio turno, fissando il vorticoso e rumoroso ruotare degli enormi cestelli che sembrano dover esalare ad ogni istante l’ultimo respiro e che invece proseguono incessantemente la loro marcia fino a dei crescendo degni delle più grandi opere sinfoniche.

Finalmente il rombo ed il tonfo finale…la corsa è finita ed il turno è arrivato. Il povero cliente si guarda intorno attendendo che il proprietario degli indumenti si riappropri dei propri beni….nulla…passano i minuti e nessuno si fa avanti. Con la cura che avrebbe chi tocca materiale radioattivo, il povero cliente estrae il contenuto dal cestello – evitando il più possibile il contatto - e lo deposita sul bancone. Il bancone (che è quello sul quale si deposita tutto, dagli indumenti da lavare alle sacche sporche che li contengono) è ovviamente sporco e metà degli indumenti, durante l’operazione di "trasbordo", sono finiti per terra, circostanze che ovviamente comprometteranno l’attività di pulizia appena terminata (e ben sta al cliente che se ne è andato a fare una passeggiata, incurante del ciclo di lavaggio dei propri indumenti!).

Insomma una scena triste…che potrebbe diventare ancora più triste qualora un giorno, nei locali delle lavanderie, si aggirassero loschi individui giunti appositamente a rovistare tra quelle mutande e quei calzini lasciati sul bancone alla ricerca della preziosa chiavetta USB….Quale miglior monito per ricordarsi di svuotare bene le tasche prima di portare i propri vestiti in lavanderia?


*http://www.infosecurity-magazine.com/view/6633/data-hung-out-to-dry-as-4500-usb-sticks-left-in-dry-cleaners

giovedì 3 giugno 2010

C’è posta per te

Il fatto che le aziende oggi si trovino a dover “parlare” ed “ascoltare” i propri clienti/consumatori è ormai una realtà ampiamente riconosciuta, anche se non da tutte le aziende praticata, a causa di timori su come gestire concretamente il rapporto con il consumatore (pensiamo ad esempio a come gestire eventuali critiche all’azienda e ad un suo prodotto pubblicate su mezzi accessibli a chiunque quali un sito Internet o un social network).

Oggi la comunicazione con il cliente è molto facilitata dalla tecnologia che ormai permea tutti i momenti della nostra vita. Eppure vi sono aziende che anche in mancanza di queste tecnologie, già parecchi anni fa, avevano compreso l’importanza di costruire un rapporto con il proprio cliente e di fidelizzarlo.

All’inizio degli anni ’80 era una grande gioia per un bambino di 5-7 anni ricevere una cartolina colorata dal suo amico “Il piccolo mugnaio bianco” che gli augurava ora “Buon compleanno”, ora “Buon Natale” (oggi, la prima missiva che i bimbi ricevono è quella del Ministero dell’Economia e delle Finanze, che arriva puntualmente qualche giorno dopo la nascita, con la tessera del codice fiscale accompagnata da un testo che inizia così: “Gentile contribuente….”)!.

La cartolina del piccolo mugnaio bianco si inseriva ovviamente in un contesto più complesso fatto di raccolte punti, di giochi da richiedere al proprio negoziante e così via…ma quella cartolina, che arrivava puntualmente ogni anno, ti induceva a credere che da qualche parte esistesse davvero un piccolo mugnaio bianco che ti conosceva e che in qualche modo pensava a te…

Questo è il ricordo più vivo che ho del mio essere consumatore all’inizio degli anni ’80. Ma ovviamente il concetto di fidelizzazione del cliente è ben più antico: ieri mi è capitata tra le mani una “Tessera di amico di Topolino” degli anni ’30. Già allora si raccoglievano bollini su una piccola tessera che dava diritto a degli omaggi.

E nonostante la tecnologia, c’è chi si affida, ancora oggi, alla vecchia posta, come l’hotel a conduzione familiare dell’Alto Adige che invia, al cliente che ha soggiornato nell’hotel mesi prima, una lettera di auguri di “Buon compleanno” su carta pregiata, accompagnata da una bustina di tisana alla frutta come invito a godere del proprio compleanno nel meritato relax.

Soluzione che qualcuno potrebbe definire “tradizionale”, ma al cui confronto le mail di auguri totalmente anonime e spersonalizzate che spesso riceviamo dalle aziende appaiono davvero poca cosa. Cartoline colorate, bustine di tisane, tessere: niente tecnologia ma un’idea “forte” alla base…