mercoledì 7 settembre 2011

La Crusca è salva...ma la lingua no...

Un emendamento ha evitato la soppressione, prevista dalla manovra, degli enti di ricerca e culturali con un numero di dipendenti inferiore alle 70 unità, categoria nella quale rientra anche la storica “Accademia della Crusca”. Ma chi/che cosa riuscirà a salvare la lingua italiana, così cara alla stessa Accademia?



Per anni abbiamo ascoltato i telegiornali e letto articoli di quotidiani e riviste: le notizie in fondo non sono cambiate molto. Si parla sempre di politica, di economia, di costume. Quello che è cambiato è il modo nel quale tale notizie vengono comunicate. Quegli stessi media che svolsero un ruolo importante nella diffusione di una lingua comune e condivisa nell’Italia disastrata del dopoguerra, oggi utilizzano un vocabolario assimilabile al vocabolario del bar, quell’insieme molto povero di parole ed espressioni che comunemente utilizziamo al bar con gli amici, di fronte ad un caffé.

I giornalisti sembrano ad esempio ritenere necessario ricorrere ad espressioni quali “L’uomo e la donna hanno fatto la fine del topo” (trasmesso in prima serata da un TG nazionale) affinché il pubblico comprenda la tragedia di una coppia di anziani coniugi soffocata dal gas nella propria abitazione. Forse pensano che l’uditorio sia costituito da persone incapaci di comprendere termini di uso comune se questi non vengono in qualche modo banalizzati e semplificati? Ecco il paradosso: la comunicazione, da parte di quella che dovrebbe essere l’élite di un paese (politica, economica, culturale, ecc.) tende a diventare sempre più povera e sciatta, ma questa estrema semplificazione non conduce ad una maggiore comprensione dei fatti, in quanto è fine a se stessa.



Su Internet il fenomeno è particolarmente evidente: certamente le caratteristiche del mezzo (i link, ecc.) rendono necessario il ricorso ad un registro linguistico differente, ma questo non giustifica l’utilizzo di un linguaggio sciatto. Un esempio: una volta le aziende erano solite preparare brochure dei propri prodotti. Il testo veniva riletto molto volte prima della pubblicazione. Difficilmente, pertanto, avremmo letto le seguenti frasi sulla brochure di una società che si definisce “uno dei più grandi specialisti di logistica nel mondo”: “ulteriori opzioni di rintrancciabilità delle spedizioni; ciò aiuta a censegnare senza ritardi; creare alltraverso l’innovazione un modello di logistica più flessibile; non tutti i prodotti sono disponibili in tutti i paese; non richiede l’installazione di un software specifico sul proprio PC o l’acquisizione di competente speciali; per avere il massimio delle performance, consigliamo Internet Explorer v4.0”. E se qualcuno di voi pensasse che si tratta di semplici sviste, ecco quello che si legge sul sito della medesima società (dal quale sono tratte le frasi precedentemente riportate): “Precisione del sito. Queste pagine web potrebbero contenere imprecisioni involontarie o errori tipografici. Questi, appena riscontrati, verranno corretti a discrezione della società”. Ecco appunto... a discrezione della società...e a discapito della povera lingua italiana...

2 commenti:

Lisa ha detto...

Personalmente trovo questo fenomeno piuttosto inquietante, in particolare per il fatto che non sono poi in molti ad accorgersi di questi orrori. Sembra che alla maggior parte delle persone interessi solo il contenuto e non la forma, ma a volte la forma è anche contenuto. Non so, ora magari la faccio tragica, ma mi sembrano tutti i segnali della decadenza di una civiltà.

Anonimo ha detto...

Quanto sopra citato, mi ricorda un fatto che la mia povera mamma usava citarmi da bambino: sull'ultima edizione dell'Enciclopedia Italiana della UTET (che mi par ricordare fosse stata presentata al pubblico prima del secondo conflitto mondiale)compariva la ferale affermazione:"Edizione riveduta e corretta senza errori di STOMPA"!