martedì 6 luglio 2010

Se i principi non bastano... allora facciamone una questione di efficienza economica

Dimentichiamoci per un attimo i principi di uguaglianza e parità tra uomini e donne secondi i quali i due sessi dovrebbero avere pari opportunità non solo in materia di accesso al mondo del lavoro, ma anche pari salario per le attività svolte e medesime opportunità di carriera.

La tesi della "womenomics", concetto introdotto da Kathy Matsui, analista di Goldman Sachs, è che una maggior integrazione delle donne nell’economia non risponde soltanto a principi di equità, ma anche a principi di efficienza economica. E’ infatti dimostrato che una maggiore partecipazione femminile al lavoro, oltre ad essere un potenziale fattore di sviluppo economico (con impatti significativi in termini di crescita del PIL), ha ripercussioni importanti e positive su questioni quali la sostenibilità delle pensioni (la maggiore partecipazione delle donne porta ad un aumento del numero degli occupati fra le persone in età lavorativa, riducendo il rapporto di dipendenza fra pensionati e lavoratori) e sull’invecchiamento della popolazione.

A questo proposito è importante sottolineare come la relazione tra maggiore partecipazione delle donne al mondo del lavoro e minore fertilità, che si riscontrava nei decenni passati non è attualmente così presente. Se negli anni ’80 i livelli di fertilità erano maggiori laddove minore era l’occupazione femminile, negli anni 2000, i paesi con una minore occupazione femminile registravano una minore fertilità rispetto ai paesi con una maggiore occupazione femminile (vd. grafico*)
















Segno che il trade-off tra lavoro e fertilità non è inevitabile laddove si adottino, come è avvenuto in Francia e nei paesi nordici, specifiche iniziative volte ad incoraggiare sia il lavoro femminile, sia la fertilità (es: strutture statali e private che si occupano dei bimbi delle madri lavoratrici, disponibilità di congedi parentali, disponibilità di lavori part-time, ecc.) e che dunque il rapporto tra tasso di occupazione femminile/fertilità varia sensibilmente in funzione di precisi elementi sociali, economici, culturali e politici propri del paese analizzato.

Come emerge dal grafico, l’Italia è caratterizzata da scarsa partecipazione femminile al lavoro (da fonte ISTAT, in Italia nel 2009, meno del 50% delle donne di età compresa tra i 15 e 64 anni lavorava) e bassa natalità. In Italia l’età media della donna alla nascita ha superato 30 anni, una delle più alte d’Europa, ulteriore segno che la volontà di partecipare al mondo del lavoro da noi ha importanti ripercussioni (negative) sulla famiglia: inoltre, in Italia, la possibilità di conciliare lavoro e famiglia spesso si basa sull’apporto che strutture familiari (vd. i nonni) danno (un ulteriore elemento di fragilità se si pensa che questa situazione è destinata a cambiare anche a seguito dell’allungamento dell’età pensionabile).

Non solo, ma se le ricerche macroeconomiche sottolineano i benefici economici a livello di incrementi del PIL derivanti da una maggiore parità dei generi con riferimento all'occupazione (secondo alcuni studi, anche superiori al 10% per quanto riguarda la sola Europa), a livello microeconomico un numero sempre maggiore di studi evidenzia come la presenza, nelle aziende, a tutti i livelli, di gruppi di lavoro misti, apporti grandi benefici all’azienda in termini di produttività e risultati economici. Nonostante questo, la presenza delle donne ai più alti livelli rimane un miraggio nella maggior parte dei paesi (per quanto riguarda l’Italia “la composizione dei consigli d’amministrazione delle società del Mib30 mostra che su 466 cariche consiliari, soltanto undici sono ricoperte da donne”**).

Il mancato sfruttamento del capitale umano femminile è una situazione che dunque non ha giustificazioni…che la si guardi dal punto di vista dell’equità tra i sessi o dal punto di vista dell’efficienza economica…

*Fonte: D. Del Boca, Famiglia e Lavoro,http://www.amichediabcd.org/Intervento%20Daniela%20Del%20Boca%2023.06.07.doc.
**Fonte: D. Del Boca, Perché l'Italia ha bisogno di womenomics, 16/03/2010 (consultabile su http://www.lavoce.info/). Altri testi che trattano l'argomento in una prospettiva internazionale sono: A. Wittenberg-Cox e A- Maitland, Rivoluzione Womenomics, Gruppo24Ore, 2009 e vari paper dell'OECD, tra i quali, A, d'Addio e M. d'Ercole, Trends and Determinants of Fertility Rates, 2005.

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