domenica 13 marzo 2011

Giornalisti e "pirati"...

Continua il confronto-scontro tra l’editoria tradizionale e il mondo dei social media. Questa volta i protagonisti sono il chief editor del New York Times, Bill Keller, e Arianna Huffington dell’Huffington Post (recentemente acquisito dal colosso AOL).

Keller, nell’articolo pubblicato il 10/03*, contrappone coloro che pubblicano contenuti originali (quelli che egli considera i veri giornalisti) a coloro che, egli sostiene, si limitano ad aggregare contenuti (contenuti di qualità prodotti dai media tradizionali, contenuti propri di dubbia qualità, contenuti prodotti da blogger non pagati). Keller identifica nell’Huffington Post l’esempio più evidente di questa deprecabile tendenza all’aggregazione, che egli considera di fatto un vero e proprio atto di “pirateria” nei confronti dei contenuti prodotti dagli editori tradizionali.

La risposta puntuale della Huffington a tale critica, pubblicata sul sito lo stesso giorno**, ripercorre l’evoluzione compiuta dall’Huffington Post ed offre diversi spunti di riflessione sul rapporto tra media tradizionali e social media:

Per quanto riguarda i contenuti, se è vero che il sito può contare sul lavoro (in termini di scrittura di post/articoli) di molti blogger non pagati, tuttavia, uno staff sempre più nutrito di giornalisti professionisti (e pagati) produce ogni giorno contenuti editoriali originali, Il sito, inoltre, come molti altri, paga le agenzie stampa (Reuters, ecc.) per pubblicarne i contenuti. Infine, molti quotidiani, attratti dall’audience crescente che il sito conquista, contattano quotidianamente l’Huffington Post per proporre contenuti da pubblicare. In questo senso si può affermare che il sito si è via via avvicinato al modello di produzione di contenuti di qualità che è al centro dell’attività di un editore tradizionale.

Contemporaneamente, e questa è la chiave del successo del sito, l’Huffington Post ha continuato a rafforzare le modalità di interazione e di coinvolgimento con i propri lettori: 1) i lettori possono agevolmente commentare gli articoli e contribuire attivamente, come comunità, ad assicurare che i commenti rispettino le regole di buon comportamento, insieme con i moderatori ufficiali del sito (elemento, questo che rende il sito più attraente per i pubblicitari); 2) sinergie sono state create tra la comunità dell’Huffington Post e quelle di Facebook e Twitter; 3) i lettori hanno la possibilità di pubblicare sul sito i propri post: inoltre essi hanno la possibilità di determinare una gerarchia degli autori dei post (in termini di numero di followers, ecc.).

Grazie a questa politica, oggi il sito può vantare, accanto agli articoli dei propri giornalisti, contributi di una molteplicità di soggetti (semplici cittadini, politici, professori universitari, ecc.), che contribuiscono alla ricchezza di contenuti del sito e che per tale attività non percepiscono alcun onorario (l’esposizione”, intesa come la possibilità di comunicare le proprie opinioni ad un pubblico molto vasto come quello dell’Huffington Post, costituisce per questi soggetti la ragione primaria che li spinge a scrivere).

Curiosamente, una maggiore apertura agli strumenti dei social media è quanto auspicato anche da diversi lettori del New York Times che pure condividono molte delle osservazioni di Keller.

Anche in Italia il dibattito è acceso: e se è vero che gran parte delle notizie che vengono commentate in rete è originata dai media tradizionali, tuttavia, spesso, i dibattiti più interessanti che ne seguono si svolgono in sedi diverse da quelle dei giornali tradizionali (ad es. su blog tematici che grazie all’autorevolezza dei propri autori riescono a catturare l’attenzione ed i commenti di altri professionisti, creando di fatto comunità molto attive che danno vita a dibattiti di grande vivacità).

Siti come l’Huffington Post, che riescono ad aggregare bene i contenuti di qualità di giornalisti professionisti con quelli di lettori non professionisti, creando un prodotto editoriale che genera audience sempre più elevate e fidelizzate, diventano sempre più interessanti per gli investitori pubblicitari. La resistenza di molti giornali (e spesso degli stessi giornalisti) ad aprirsi al mondo dei social media, a cercare nuove strade, puntando sull’innovazione del prodotto editoriale, rischia di prolungare la crisi che il mondo dell’editoria tradizionale sta attraversando.

I social media non possono vivere senza i media tradizionali, ma a loro volta i media tradizionali possono trarre giovamento dall’utilizzo degli strumenti dei social media. L’errore sta nel continuare a vedere questi mondi come realtà contrapposte, anziché come realtà complementari.

*Bill Keller, “All the Aggregation That’s Fit to Aggregate" http://www.nytimes.com/2011/03/13/magazine/mag-13lede-t.html

**Arianna Huffington, "Bill Keller Accuses Me of "Aggregating" an Idea He Had Actually "Aggregated" From Me", http://www.huffingtonpost.com/arianna-huffington/bill-keller-accuses-me-of_b_834289.html

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