mercoledì 27 gennaio 2010

Perché questo non è un paese per giovani...

Il tema ha avuto una vasta eco: ne ha parlato addirittura la BBC.
Sì, il tema dei "big babies" (traduzione inglese di "bamboccioni") e le proposte (rivelatesi successivamente provocazioni) del ministro Brunetta (obbligo per legge di lasciare la famiglia entro una certa età, seguito dall’idea di un contributo per incentivare i ragazzi in questa direzione) hanno attirato l’attenzione anche dei media inglesi.

La questione fondamentale è capire le ragioni alla base del fenomeno dei “big babies”. Penso che aldilà di fattori culturali, la ragione principale consista nella difficoltà, per un giovane, di crearsi la propria indipendenza.

Qualche giorno fa un articolo del Corriere della Sera ricordava un triste primato del nostro paese: gli effetti della crisi si sono fatti sentire soprattutto sui giovani, la categoria di lavoratori attualmente meno protetta (su 1,87 milioni di senza lavoro nei primi 3 trimestri del 2009 oltre un milione ha meno di 34 anni, pari a circa il 55%). Più nel dettaglio, facendo un confronto con i primi 3 trimestri 2008, “nella fascia di popolazione di chi ha fra i 15 e i 24 anni, il numero degli occupati è sceso dell’11,6%; in quella fra i 25 e i 34 anni si è ridotto del 5,5%”*. Nella fascia superiore ai 35 anni, invece, la crisi non si fatta sentire (forse anche grazie al ricorso alla cassa integrazione…?).

Quello che emerge è dunque un crescente divario, che diventa ancor più evidente nei momenti di crisi, tra coloro che godono di una elevata protezione (es. chi ha un contratto a tempo indeterminato) e chi invece (tipicamente i giovani) va avanti con contratti flessibili/atipici e con poche garanzie, senza neanche poter contare, nei momenti di necessità, su strumenti quali gli ammortizzatori sociali.
Come sintetizza bene un articolo del Riformista di ieri “La famiglia è diventata forzosamente la valvola di sfogo, l’ammortizzatore sociale, un’istituzione supplente, di un welfare state iniquo e duale”**.

Ritroviamo qui il concetto che avevamo già discusso in un post precedente (http://ilportapenne.blogspot.com/2009/12/famigliama-quanto-mi-costi.html) e che, secondo me, pone alcuni interrogativi: le istituzioni e in generale il sistema paese (dunque classe politica, sindacati, imprenditori, ecc.), si sono “serviti” della famiglia e della sua solidità nel contesto italiano, per evitare di porre mano ad alcune riforme strutturali del nostro paese tese a riequilibrare il divario tra le generazioni? Detto altrimenti, è ipotizzabile che la situazione dei “bamboccioni”, criticata a parole, di fatto rappresenti per queste forze una situazione "utile" in quanto consente di non prendere/ritardare quelle iniziative che potrebbero avere costi elevati in termini di consenso (politico, sociale, ecc.)?

Se aggiungiamo il fatto che l’Italia è uno dei paesi più vecchi in Europa e che dunque c’è una tendenza, da parte del sistema paese al quale accennavamo sopra, a fare scelte che favoriscono la popolazione “anziana”, rispetto alla minoranza - giovane e meno organizzata - se ne deduce che, forse, davvero, questo non è un paese per giovani (bamboccioni o meno).

*F. Fubini e G. Stringa “La crisi? In Italia la pagano i giovani”, Corriere della Sera, 23/01/2010, p.11.
**G. Gazzetta “Bamboccioni per colpa del welfare”, il Riformista, 26/01/2010, p.11

1 commento:

Lisa ha detto...

Giuste osservazioni. Del resto la famiglia, tanto declamata nei comizi e negli spot elettorali, è lasciata sola di fronte ad altre questioni, come la gestione dei bambini e degli anziani, quindi è un super ammortizzatore sociale! Riguardo ai giovani certo, le cose nel mondo del lavoro sono più difficili e incerte rispetto alle generazioni precedenti, ma è diminuita molto anche la disponibilità al sacrificio personale. I nostri nonni e genitori hanno spesso affrontato situazioni di disagio personale che molti ventenni di oggi non sarebbero disposti a sopportare.