venerdì 9 aprile 2010

Il signor M.

Il portone è ancora chiuso quando arriviamo. Ad attendere, altre 10 persone, giunte lì, come noi, con il passaparola.

Poi, alle 20.30 precise, il portone si apre e veniamo accolte all’interno: tavoli di legno accuratamente preparati ed impreziositi da fermaposate di cartone e sottopiatti di ceramica colorata. Un ambiente luminoso, intimo ed accogliente: graziose lampade e oggetti di design a decorare i tavolini di servizio, tavolozze di colori alle pareti.

M. ci avverte subito: “Lo sapete, questo non è un ristorante…qui non ci sono veri cuochi e camerieri…se la cosa non vi convince, poco più in là trovate un vero ristorante”. Una franchezza che all’inizio ci lascia un po’ sorprese, ma che, come capiremo in seguito, serve solo per mettere in chiaro che lì le cose si fanno come vuole M…e che, se ti fermi, “decidi di accettare e giocare”.

E così abbiamo fatto. Una portata dopo l’altra, per un totale di 6 antipasti, 1 primo, 1 contorno, 5 dessert, accompagnati da 3 diversi tipi di vino. Pietanze che non si trovano nei ristoranti: perché M. cucina le antiche ricette, quelle della tradizione contadina, impreziosite, però, da alcuni suoi spunti personali: ed inoltre, il pane lo fa lui, il formaggio lo fa lui, la salsiccia è preparata da lui, ed i contorni, le salsine, sono sempre piacevolmente insolite.

A servire sempre M., con i suoi modi gentili e discreti, la sua cravatta elegante ed il grembiule da lavoro. L’ambiente concilia la discussione e durante la carrellata di piatti si parla di tutto: uomini e donne, tortellini e personalità borderline.

Usciamo, qualche ora dopo, dal portone dal quale eravamo entrate… con alcune ricette raccolte in una confezione di cartoncino (le stesse ricette che abbiamo sperimentato e che ci sono state donate da M.) ed una piacevole sensazione.

Sarà il fatto che il ricavato della nostra cena sarà utilizzato da M. per coprire una parte dei costi che lui sostiene per offrire gratuitamente il pernottamento alle persone che si trovano in città per assistere i propri bimbi malati e che non hanno i mezzi per affittare per giorni, spesso mesi, una camera d’albergo.

O sarà il fatto di aver conosciuto una persona che, semplicemente, ha sperimentato un percorso…”Ospitalità, gioco” sono le prime parole che lui cita…ma ci sono anche l’esperienza della malattia e la convinzione che “Quando si è fortunati, quando si è avuto tutto dalla vita è giusto, doveroso, dare qualcosa anche agli altri”.

2 commenti:

Rob ha detto...

Bello! Cos'è?

Beth (Elisabetta Comini) ha detto...

Associazione culturale per tutelare le antiche ricette culinarie e diffondere la cultura del gusto, via Volvera 6, Torino (tel.: 011 38 28 128)